SANDRO MEDICI

Buonasera a tutti. Il giovane amministratore brasiliano, Gerardo Adriani ha concluso il suo intervento ringraziandoci e devo dire che forse per la prima volta l’occidente sviluppato, civilizzato, “culturalizzato” con grande storia e con grande nobiltà alle spalle, si trova quasi ad avere l’obbligo di rivolgere, ad un paese come il Brasile, ma non solo il Brasile, un ringraziamento.
I
nsomma, dovremmo essere noi, in questo caso, “muito obrigado” nei confronti di queste esperienze, che il nuovo Brasile, anticipando perfino la vittoria elettorale del Presidente Lula, oggi ci offre. Ci offre in effetti un utile elemento di riflessione che non rappresenta, vi assicuro, come succedeva nel passato in Europa riguardo le politiche sudamericane, soltanto una grande suggestione, dai profili romantici. Sto parlando, naturalmente, di cose che tutti conosciamo: la rivoluzione cubana, figure come quelle di Ernesto Che Guevara.
O
ggi, dal Brasile, ci arriva l’eco di una politica organica, perfino fin troppo seriosa. Non so, se dobbiamo attribuire ad Allegretti la “colpa” di avere oggi qui con noi, questi amministratori che anche se brasiliani, sembrano essere quasi scandinavi, per la precisione e la linearità dei loro interventi.
Questo per dire che dalle loro esperienze non ci arriva una suggestione, una grande illusione, ma un modello organico di amministrazione.
E questa è una novità. E’ una novità che io considero molto importante, perché riesce, appunto, nel rigore di quelli che sono i compiti di un’amministrazione, di un’attività di governo, ad introdurre delle vitamine di tipo sociale e di tipo partecipativo.
Peraltro, mi sembra che questo convegno intenda proprio confermare, annunciare, che anche una grande azienda pubblica, come l’Atac, che è un’azienda cara a noi tutti abitanti di Roma (sia per i suoi limiti, che per le sue grandi virtù) oggi, accetta questa sfida. Accetta cioè la sfida di misurarsi con i cittadini, con la loro viva voce, secondo quello che oggi potremmo definire quasi una politica di impatto.
Non è facilissimo, non lo è oggi, avviare queste politiche, perché, nella nostra società, (magari poi a Roma non è proprio così, perché per fortuna c’è un tessuto sociale che tiene, che ha voglia e passione, desiderio di sentirsi partecipe e protagonista) nel dialogo sociale, grandi sono le difficoltà determinate spesso proprio dalle culture egemoni che vi coabitano.
E questo modo di pensare - Gramsci l’avrebbe definito “il senso comune” – non è quasi mai all’altezza di una sfida e conseguentemente non affronta e supera la difficoltà di essere partecipi.
Questo lo dico, ovviamente, anche con dispiacere, perché è del tutto evidente che un dialogo sociale si stabilisce fra due soggetti e, mancando uno dei due o venendo meno uno dei due, naturalmente questo provoca dei problemi.
Ma è del tutto evidente che quando si pensa ad un dialogo sociale, ad una chiamata di corresponsabilità dei cittadini, della società, si pensa a quei segmenti della società che sono organizzati, cioè che già manifestano questa intenzione e questo desiderio di essere partecipi. E questo naturalmente va bene, ma va comunque alimentato, in quanto sono consapevole, che il confrontoo da solo, non basta.
E’ una condizione sicuramente necessaria, ma non ancora sufficiente per poter parlare di un processo di partecipazione sociale. Oggi, intercettare il cittadino comune – uso questa definizione un po’ generica - la persona che è fonte di diritto e di bisogno, ma anche portatore di obblighi e doveri, è particolarmente difficile. E questo per una serie di ragioni e anche per la storia recente del nostro Paese.
Ma una di queste ragioni, che è facilmente individuabile, è che viviamo un periodo, da circa un ventennio, in cui misuriamo anche la crisi del sistema che prima teneva insieme il tessuto sociale, la crisi cioè del sistema dei partiti. I partiti, infatti, sia quelli grandi che quelli piccoli, seppure con tutti i loro difetti, sono sempre stati dei punti di riferimento. Essi, sia nell’ambito cittadino che in tutto il contesto territoriale, erano infatti in grado di interpretare – certo non in maniera perfetta e completa - quella che era l’esigenza sociale diffusa.
E’ chiaro poi che, quando si pensa alla storia italiana, si pensa ai grandi partiti, a quelli della Prima Repubblica.
Venendo meno, oggi, questo sistema politico, questo filtro, questa scuola - soprattutto il Partito Comunista lo è stato - questa scuola di partecipazione sociale, questa scuola di formazione alla politica, è evidente che tutto il tessuto sociale manifesta delle smagliature, è diventato più sfuggente, c’è una grande insoddisfazione anche direttamente nei confronti dei partiti.
E allora, ecco che forse, lo dico con molta prudenza e perfino con un po’ di pudore, le amministrazioni, le amministrazioni locali, laddove mettono in campo delle politiche di partecipazione sociale, forse danno una mano anche alla politica.
L’idea che ci sia una rappresentanza che ha un profilo istituzionale, come è appunto l’amministrazione locale, che riesce ad intercettare pezzi, segmenti di società, a mettere in moto energie, intelligenze, fantasia, creatività, ritengo che è di sostegno alla stessa politica, perché ridà fiducia nei confronti di chi ha una responsabilità di governo, una rappresentanza cioè di tipo politico e istituzionale.
Per quel che ci riguarda, il Comune di Roma, ovviamente con mille difficoltà, perché i processi non sono mai lineari, da diversi anni ha impegnato i cittadini, nei limiti del possibile, in questo processo di sviluppo delle politiche partecipative.
In sostanza, non si tratta di una concessione alla società ed ai cittadini di pezzi di potere, ma è esattamente l’opposto. E’ un obbligo della politica quello di trovare poi delle nuove forme di dialogo sociale, senza le quali diventerebbe difficile ricreare queste forme di rappresentanza che abbiano un senso e una rilevanza, in quanto rappresentative di bisogni ed esigenze reali e strumenti per far rispettare i diritti.
Nel dibattito della Sinistra italiana può ben inserirsi questa riflessione che nasce da questa esperienza che ci viene dal Sud America e che tocca le nuove forme della politica. Sicuramente l’Atac sta procedendo in tal senso, ed io apprezzo moltissimo questo tentivo - per nulla scontato - che viene da un’azienda con sue dinamiche, suoi problemi, suoi bilanci.
Devo dire, quindi, che mi ritengo soddisfatto di far parte di un’amministrazione che in tutti i suoi settori, anche quelli più operativi, oggi si sente partecipe di questo processo e di questa esigenza.
Concludo il mio intervento con una velocissimo accenno ai nostri tentativi nel X Municipio. Proprio stamattina, la Giunta comunale ha approvato il nuovo programma dei contratti di quartiere che, come sapete, è uno strumento urbanistico che consente di operare con finanziamenti pubblici laddove, invece, è molto difficile poter sviluppare queste politiche di risanamento.
Come X Municipio, abbiamo partecipato a questo programma e quindi abbiamo anche noi un Contratto di Quartiere che, spero, possa essere ulteriormente valorizzato in sede di valutazione nel bando. Sostanzialmente questo Contratto di Quartiere è stato proposto dai cittadini.
Si tratta in questo caso di un piccolo intervento effettuato in un quartiere storico di Roma, degli anni Cinquanta: il quartiere Inacasa del Quadraro, realizzato da Libera e da Muratori, caratterizzato da una qualità architettonica rilevante.
E’ nato qui un organismo sociale, la Consulta, costituito dal Centro Anziani, dal Centro Sociale ma anche da cittadini e da piccole associazioni.
Tra tutti, questi due organismi sono stati quelli trainanti: quindi gli anziani e i giovani, tra loro distanti e perfino in genere in conflitto, perché portatori di diversi interessi, hanno creato questo organismo e hanno chiesto al Municipio di poter risanare il quartiere.
Questo progetto è stato da noi inserito nel Contratto di Quartiere, oggi finalmente approvato dalla Giunta.
In conclusione, ho voluto raccontare questo episodio come dimostrazione del fatto che, alla fine, al di là di quello che può fare un amministratore - per quanto illuminato - se viene a mancare una risposta diretta da parte della società, e quindi questa “sfida” non viene raccolta, allora anche le stesse politiche partecipative, rischiano di diventare un enunciato interessante, ma concretamente fanno fatica a marciare.
Vi ringrazio.