PATRIZIA SENTINELLI

Ho apprezzato molto l’invito che mi è stato rivolto e Vi ringrazio. Trovo molto interessante ed utile il lavoro che ci proponete. Ho riflettuto su che cosa dire in quest’occasione ed ho pensato che fosse meglio di tutto provare a fare alcune considerazioni e lanciare alcune suggestioni, provando, per chi mi conosce, a mettere i piedi nel piatto su alcune delle questioni nodali.
Quando si parla di partecipazione, si parla di democrazia e di trasparenza e, dunque, io credo che dobbiamo tener presenti queste tre questioni e questi tre aspetti. E’ un tema molto complesso quello della partecipazione, perché ha a che vedere, come dicevo prima, con la democrazia. Quando se ne occupa un’azienda pubblica è una cosa assai importante, ma anche molto difficile.
E’ da qualche tempo che si discute anche nel Movimento di democrazia partecipativa, tant’è che conosco bene anche Giovanni Allegretti, da cui imparo sempre molto, perché porta questi temi in tutte le parti del mondo.
In alcuni interventi si è fatto riferimento a Porto Alegre, che ha detto tanto su questo, ma va aggiunto che non possiamo parlare né per i comuni, quindi per i Municipi, né per le aziende, di modelli di partecipazione che possono essere esportati tout court. Dobbiamo insomma, quando parliamo ed assumiamo un tema come questo, metterci tutti e tutte in discussione a partire da quello che facciamo nel contesto in cui operiamo.
Intanto, io penso che quando si parla di partecipazione democratica, dobbiamo mettere in evidenza che si tratta di un tema enorme che sta dentro ad un percorso, che a me piace molto richiamare, che è un percorso di ri-democratizzazione, assumendo il fatto che non c’è una democrazia ai livelli bassi e una mortificata dalla democrazia ai vertici.
Dentro questa fase che viviamo, c’è invece una crisi evidente della rappresentanza. Anche noi che siamo consiglieri comunali, avvertiamo che siamo visti, spesso e volentieri, e forse lo siamo anche, parte di un ceto politico disattento e lontano dalle esigenze dei cittadini del nostro territorio.
Come, dunque, ripartire per ridare fiducia ed anche per rispondere a quei bisogni, a quelle esigenze, alle domande forti che avanzano e che vanno comunque lette? C’è una crisi della democrazia rappresentativa, oltre che della politica e, la democrazia partecipativa tenta di dare delle risposte per risalire la china – per questo parlavo di processo di ri-democratizzazione.
Ma va anche detto che parlare di partecipazione, e ciò vale anche per Atac, non significa parlare di modelli, ma neppure di pratiche consociative, che richiamano altre concezioni. Aggiungiamo un posto a tavola, qualche associazione di consumatori, di utenti o sindacali, quindi di lavoratori e lavoratrici, perché stiamo così a posto. Io penso, appunto, che vada invece rivoltato un po’ tutto il concetto. Per questo dicevo mettiamo un po’ i piedi nel piatto, utilizzando anche dei linguaggi che sono coerenti con le cose che vogliamo fare.
Stamattina mi è stato presentato un invito ad un convegno che si terrà nella nostra città il 12 di questo mese, che ha un titolo “Beni comuni” che ritengo del tutto incoerente con il programma. Infatti è prevista una relazione dell’On.le Bassanini, persona assai autorevole, che ha lavorato in questi anni per sua stessa ammissione per introdurre la concorrenza e demolire così il servizio pubblico locale. Da tempo sto ragionando con altri attorno ad una diffusione del concetto “beni comuni”, in opposizione a quello del bene merce, sopratutto quando si parla di alcuni beni, di alcuni diritti come l’acqua o la mobilità, non si può parlare in termini di risorse e, dunque, di mercato.
Ciò non è in contrasto con la questione dell’efficienza di un’azienda che gestisce questi determinati servizi: acqua, rifiuti o mobilità,ma certo è in contrasto con le regole del profitto e del mercato. Non a caso, quando parliamo di trasporti, sappiamo che per il servizio non pagano soltanto i cittadini, ma che ci sono risorse pubbliche impegnate. Perciò è bene parlare di diritti. E allora come si salvaguardano? E allora parlare di beni comuni mi interessa. Bene!. Allora, io credo che quando si parla anche di partecipazione, bisogna dire da che parte si sta: ri-democratizzazione da una parte e trasparenza, ma anche concetto di un nuovo pubblico da definire.
L’Atac è un’azienda particolarissima: è un’agenzia, l’Agenzia della mobilità, che deve programmare e, dunque, controllare e non gestire, a mio parere. Io ho contribuito, ero in Consiglio Comunale, alla famosa delibera 194, anche con Giovanni Carapella e con Mauro Calamante, che allora era consigliere, perché questo venisse esplicitato in modo chiaro. Ricordo la discussione in quel periodo, anche con l’assessore del tempo, Walter Tocci, a proposito dello statuto giuridico da attribuire a questa agenzia. Io non ero molto d’accordo con la forma giuridica scelta: la SPA e invitai anche i colleghi al dibattito – Giovanni lo ricorderà. Non ci aiuta certo la norma giuridica che a mio parere fa difetto. In altri termini un’agenzia non deve essere necessariamente una società di capitale.
In ogni modo, richiamo questo per dire che l’agenzia della mobilità (Atac) al di là che si chiami società per azioni, è un’agenzia tutta particolare, perché di proprietà tutta pubblica e il proprietario, dunque, è un Ente particolare, cioè il Comune. Condivido molto le cose che sono state proposte al Convegno di oggi.
Prima di tutto dobbiamo fissare l’obiettivo, la missione principale dell’Agenzia e verificare se viene attuata. Siccome ho parlato di trasparenza, io penso che quando si parla di processi di democratizzazione - e le carte presentate oggi lo segnalano - si parla anche di cessione di poteri e di competenze dall’alto verso il basso. Ma quando si parla, appunto, di cessione di poteri, di sovranità dall’alto per cederla al basso, io sono d’accordo; non sono d’accordo invece quando si parla di sottrazioni in termini di mancanza di trasparenza. Penso, ad esempio, che il Consiglio comunale debba sapere che cosa fanno le aziende proprie, soprattutto un’azienda particolare come quella dell’Atac. E spesso non lo sappiamo neppure noi consiglieri comunali.
Io credo, dunque, che questa Carta della partecipazione vada benissimo. E’ un passo importante per i cittadini e gli utenti se si rafforza nel contempo la competenza del Consiglio Comunale in merito alle scelte strategiche da assumere. Nella carta si parla in modo appropriato di percorsi di decisione partecipativa anche per la tariffazione. Mi pare molto giusto. Già ho detto in sedi diverse da questa che ritengo indispensabile procedere ad una reinternalizzazione della funzione di bigliettazione in Atac. Aggiungo però in questa sede che sulla questione tariffaria proprio con il contributo di Atac bisogna aprire una grande discussione nella città.
A Roma abbiamo deciso recentemente di procedere all’incremento delle tariffe del biglietto e degli abbonamenti, anche una decisione concertata con la Regione. Però c’è una cosa che non abbiamo fatto in alcuna sede, di discutere apertamente con gli utenti se questo livello dei servizi consentiva l’aumento del biglietto. Io ho sempre pensato che forse non era opportuno perché il livello dei chilometri/vettura che diamo, il livello della velocità commerciale che forniamo alla città, e quindi delle frequenze non consentiva un aumento indifferenziato. Ma se era necessario bisognava discuterne con la città.
E’ possibile, ad esempio, individuare il mezzo pubblico come mezzo principale per i movimenti in città contro l’utilizzo del mezzo privato? Allora, come facciamo ad incentivare gli utenti? Penso che un’operazione di tariffazione sociale può essere utile a partire dai residenti, dai pendolari e dagli studenti. Io ho proposto anche il trasporto gratuito, ma su questo sono pronta a discutere, e l’introduzione di una tassa di scopo, perché la fiscalità generale può ritornare a favore del servizio pubblico. Però questa discussione non l’abbiamo neppure iniziata né in Consiglio comunale né con i cittadini.
La nuova fase che si apre anche con la Carta della partecipazione può, sono certa, dare un contributo e una spinta positiva per cambiare i nostri comportamenti. Sono fondamentali a questo scopo anche i Municipi.
Aumento del servizio, miglioramento del servizio che si offre e, dall’altro, appunto, la riduzione del traffico privato, insomma, se dobbiamo dircela con un’idea, una città senza auto, possono essere i nostri comuni intenti e anche su questo io penso che l’Agenzia della Mobilità possa fare molto.
E’ possibile, ad esempio, ripensare e ridisegnare la città a partire dal Nuovo Piano Regolatore. Ma attenzione ad operare sempre in modo coerente tra interventi sulla mobilità e interventi urbanistici. Mi riferisco ad una preoccupazione di queste ore su scelte che riguardano la valorizzazione del patrimonio Atac. Procediamo anche su questa strada ma del tutto in sintonia con i bisogni dei quartieri sui quali insistono depositi ed aree oggetto di intervento.
Il metodo partecipativo è un metodo molto interessante ma anche molto difficile. Non può essere semplicemente giusto apposto ad altro già in uso. Sconvolge rapporti e relazioni consolidate nelle Amministrazioni quando apre ai cittadini. Per questo è anche un’ esperienza bellissima. A Roma possiamo farcela tutti insieme.