INTERVISTA N° 13
PER CENSIRE PROCESSI DI DIALOGO TERRITORIALE

Da quartiere a comunità
Intervista a Eros Cruccolini, presidente del Quartiere 4 di Firenze
(raccolta da Giovanni Allegretti, il 9 marzo 2004)

Il quartiere che amministra ha un cuore popolare e un’identità forte, recuperata negli anni ’50 con la costruzione dell’insediamento dell’Isolotto, fortemente voluto dall’allora sindaco La Pira. Quanto ha contato questo ‘carattere forte’ nel costruire il vostro progetto territoriale?
Moltissimo. È stato una forza motrice e un a appoggio all’attecchimento di un progetto che non è solo di questa giunta, ma in parte è un progetto che sgorga dalle risorse di questo territorio. Sensibilità e identità si sono costruite nel tempo, da La Pira in poi. E sono rimaste, sono risorse specifiche del quartiere. La storia – come un DNA – ha pesato molto nel costruire un’ampia fetta di quartiere. Oggi esistono contesti molto diversi e socialmente variegati, ma l’accoglienza è un bene generalizzato, a partire dalla scuola.
Intendiamoci: come Quartiere partiamo parzialmente svantaggiati. Non siamo il Comune e non abbiamo né competenze né un’identità giuridica autonoma. Prima di tutto abbiamo dovuto garantirci un rapporto forte e collaborativo con l’Amministrazione Municipale, e contestualmente abbiamo dovuto creare una relazione di fiducia con gli abitanti. È tra questi due poli il nostro spazio di manovra; se c’è un progetto in cui crediamo e uno dei due poli di riferimento va altrove, abbiamo solo l’opzione di indurre o i cittadini o l’Amministrazione a raddrizzare la rotta.
Il nostro progetto è ben riassunto dal titolo dato a quest’intervista: nel 1985 sono entrato in un quartiere che era in parte una periferia, seppur vitale, e l’obiettivo di tutti noi era renderlo un nodo centrale della città. In linea generale abbiamo cercato di lavorare affinché la trasformazione avvenisse a partire dalla popolazione, da un suo essere partecipe della vita quotidiana della sua realtà territoriale, conferendole un carattere solidale e accogliente. Siamo partiti dall’idea che chiunque abbia delle risorse deve metterle a disposizione di chi non le ha, se si vuole ottenere questo risultato. Diminuire le differenze e riequilibrare le risorse sono stati i nostri obiettivi specifici. E - valutando questo ventennio – mi sembra che abbiamo ottenuto molto di quello a cui puntavamo, e anche con qualche risultato collaterale positivo non del tutto previsto. Il concetto di ‘comunità’ è entrato nel linguaggio della comunità, e ci sono molti riscontri diretti di come la comunità abbia esaltato la sua presenza.
Noi, così come Lula in Brasile, vorremmo che nei programmi delle Amministrazioni gli aspetti sociali fossero prioritari, prevalenti sull’urbanistica e sullo sviluppo economico, che peraltro è strettamente legato ad essi…E abbiamo cercato di portare avanti quest’idea con l’esempio. In questi anni ci siamo preoccupati – spendendo anche la nostra visibilità – soprattutto delle fasce più fragili. Siamo stati accusati di essere i difensori dei Rom e degli immigrati a scapito dei nostri concittadini, ma non ci siamo curati delle accuse, forti del fatto che il nostro territorio ci ha sempre supportato.

Il quartiere 4 è storicamente un quartiere di immigrati: dall’estero, dalle campagne, dal Sud…
Il progetto ‘Essere’ sui microprestiti è uno dei progetti di cui siamo più fieri, legato alla lotta contro le povertà e l’esclusione. Beh, lo abbiamo appreso dal Sud del mondo, che per noi è sempre un riferimento importante a cui guardare senza paternalismo ma con una volontà di scambio paritario. Inizialmente, il progetto ‘Essere’ viveva di capitali pubblici grazie ad un prestito di 25.000 Euro della Regione Toscana. Appena è partito, con la nostra mediazione, sono arrivati 180.000 Euro dagli artigiani, dalle banche, dagli industriali, da singoli. Attivare e ritirarsi gradualmente quando un progetto parte e viene ‘fatto proprio’ da molteplici soggetti del territorio è un modo per poter investire altrove, aprire nuovi spiragli. Sono convinto che l’Ente debba mettere molto del suo impegno per porre in rapporto Associazioni e Categorie, per evitare i compartimenti stagni tipici dell’oggi. Bisogna crederci; da noi è risultato sempre possibile.
Nel progetto ‘Essere’ oggi prestiamo fino a 2500 Euro per chi ha difficoltà economiche, 5000 per chi deve riprendere o avviare un’attività. È un prestito d’onore, una fiducia nell’onestà sociale, che va restituito a piccole rate senza interessi. L’idea della solidarietà passa anche per la fiducia, e per la mediazione della comunità. Il fondo è gestito, infatti, da 18 associazioni che hanno dentro laici e religiosi (Caritas, S. Michele, ecc.). All’inizio era un gruppo anomalo e impensabile a tavolino: Nuoto Club, Pubblica Assistenza Humanitas, Ronda della Carità e Casa del Popolo di San Bartolo. Oggi i soggetti sono tanti e stanno nel comitato di gestione in 3 ogni 4 mesi a rotazione, assumendo responsabilità sull’erogazione dei fondi. Una volta restituito il prestito, un soggetto bisognoso ha incentivo per accedere ad uno nuovo. Le associazioni aderenti pagano 300 Euro per coprire le mancate restituzioni, che sono modeste. È un progetto utile perché si basa su principi di rete, che rafforzano l’idea del patrimonio territoriale come rete di soggetti complementari. Il cittadino non si rivolge più solo al Quartiere o ai Servizi Sociali, ma si valorizza il Terzo Settore, anche in modo creativo, e non solo delegandogli la gestione di servizi tradizionali. Nell’anno promuoviamo iniziative in cui crediamo, tanto che – come per il Banco Alimentare – vorremmo fare una giornata per ‘Essere’.

La domanda di servizi come questo è crescente?
Si, ed era quello che immaginavamo. Ci sono ‘momenti di difficoltà’ e questo servizio flessibile risponde ad una tendenza nuova in consolidamento, purtroppo. Abbiamo dato prestiti per studio e formazione, per ragioni sanitarie, per anziani scippati e privi momentaneamente di pensione, per acquistare a rate un furgoncino e a molti per non rischiare sfratti per morosità. Un progetto così risponde ai tempi attuali, al lavoro flessibile che è fatto di impoverimenti improvvisi e paura dell’esclusione sociale. Per questo, anche, abbiamo lavorato per attivare un Centro Territoriale per l’Impiego, e poi abbiamo agito sulla creazione del ‘Banco Alimentare’ e di una rete di solidarietà per gli anziani. La gamma dei servizi deve rispondere ad una varietà cangiante di fasce deboli.
Poi sull’immigrazione abbiamo lavorato molto con i campi nomadi: ora si sta per concludere il Villaggio Poderaccio, con i soldi di Regione e Comune. È un discorso sulla dignità dell’abitare, seppur transitorio. Ed è un’evoluzione rispetto al Guarlone, perché lì sono tutti Rom, in una situazione definitiva, chiusi tra loro stessi. Qui, è vero che le case sono di legno, ma sono un luogo di passaggio verso l’integrazione nei tessuti residenziali attraverso le graduatorie pubbliche. Oggi 50-60% dei Rom sono in lista ERP e più di 50 nuclei hanno già alloggi. Nel villaggio temporaneo razionalizziamo le risorse, e poi potremo smontare le case per darle alla Protezione Civile, perché le usi in caso di cataclismi. L’area, invece, già urbanizzata con punti acqua e luce, diventerà quel parcheggio per Camper che a Firenze manca. Su questa parte della città c’è esperienza con l’ARCI per la gestione di alloggi con 12 posti letto (a 100 Euro) per immigrati che lavorano. Sono in un alloggio comunale. Serve a non metterli in mano agli speculatori (che spesso sono dei cosiddetti ‘benpensanti’). Vorremmo che questo ‘modello Via Pisana’ si estendesse a 10-15 strutture.
Nell’ambito lavorativo abbiamo avviato un negozio di sartoria/stireria in via Modigliani, per donne Rom. Lì il senso di comunità ha funzionato bene: le donne dell’Isolotto hanno attivato progetti con un corso di alfabetizzazione, attraverso anche l’insegnamento di una professione, taglio e cucito, rammendo, confezionamento di abiti. Da poco è nata la cooperativa di tipo B ‘Samarcanda’ e il negozio è superfrequentato, tanto da non ricevere quasi più risorse pubbliche. L’autonomizzazione è l’esito sperato in ogni progetto. Resta il fatto che il Quartiere 4 non ha mai avuto un comitato contro i Rom, e questo lascia ben sperare per un’integrazione sostanziale. Anche le scuole e i genitori sono importantissimi per l’integrazione; e commuove vedere che ci sono genitori che vanno a prendere i bimbi Rom al campo, dove loro si vergognano di accogliere gli amichetti.
Il territorio ha già una sua forte ricettività, che si incontra con una consapevolezza istituzionale che marcia in una direzione coerente. Il tessuto più sorprendente, preparato e sensibile è quello scolastico, che parte da una fitta rete di insegnanti alla cui formazione il Quartiere contribuisce, puntando a costruire dei moltiplicatori sociali. E generando altri effetti moltiplicatori attraverso rassegne di teatro, musica, cinema, e linguaggi universali che sono particolarmente adatti a veicolare la comprensione reciproca e la solidarietà tra diversi. Di solito, quando attiviamo concerti di musica dei popoli, o rassegne letterarie o artistiche, li ‘accompagniamo’ con un lavoro di formazione sul territorio. In passato era più necessario, ora lavoriamo su un terreno già fertile, e così possiamo ridirezionare altrove i fondi.
A questi progetti e a questi obiettivi abbiamo finalizzato tutto, inclusa l’urbanistica tradizionale, quella stravolgente…

Già, perché il Quartiere negli ultimi anni ha conosciuto molte trasformazioni, alcune anche ‘pesanti’, come le grandi volumetrie di Mantignano, dei Piani di Recupero Urbano del Cavallaccio e della COOP di San Lorenzo a Greve…
Sull’aspetto urbanistico, direi che nel nostro disegno di sviluppo abbiamo cercato ‘compatibilità sostenibile’ che corrispondesse al ragionamento di comunità. La nostra convinzione è che la risposta dei servizi deve essere ‘sul territorio’ e non ‘altrove, anche per ridurre spostamenti inutili che deturpano il territorio e l’ambiente. Oggi abbiamo 70.000 abitanti, come Pistoia, e più di Siena, su un territorio di 17 kmq. Abbiamo cercato un equilibrio tra le varie esigenze. Così nel PRU la colata di cemento di cui alcuni nostri critici parlano ha alcune ragioni d’essere. Ad esempio, l’albergo qui era un servizio inesistente, per noi necessario nell’ottica di invertire la rotta di una ‘periferia’. Lo stesso vale per il cinema: il Florida è chiuso e oltre al piccolo cineclub di San Quirico non ne sono più rimasti. A Pistoia ce ne sono, no? Certo, avrei preferito non avere uno Warner Village, ma non tutte le scelte sono possibili. Si dovrà lavorare in futuro sul ridimensionamento dei modelli di consumo…
La nostra idea è di coniugare abitare, servizi e lavoro: tutto ‘in loco’. Così nel CIP di Via Livorno 60 e in Via Baccio abbiamo aziende artigiane.
Qual è stato il livello di mediazione? Abbiamo fatto pressione per ridurre le volumetrie, riuscendo ad inserire 300 alloggi di cooperative, un parco sportivo di 15 ettari a cui siamo anche riusciti a far inserire una pista d’atletica, l’asilo nido di Viale Canova, la palestra di una scuola in attesa da 15 anni, un Centro Anziani e il Centro Giovani alla Casella, che è una ‘zona a rischio’…
Ah, dimenticavo: la riqualificazione del borgo storico di San Bartolo, con l’obiettivo di 70 m. di pedonalizzazione e una rete di parcheggi intorno. Noi prevedevamo una piscina nel centro sportivo, Poi credevamo di poterla mettere a Project, L’anno scorso con 6,5 milioni di Euro volevamo farla al 50% ma poi abbiamo dovuto togliere anche quelli. Con 1000 mc in più avremmo potuto farci pagare dai privati la piscina. Sarebbe stato disdicevole? Gli abitanti l’aspettano da anni…
Anche la COOP di San Lorenzo a Greve era un PRU, dove la concessione ha prodotto un asilo (i PRU li hanno fatti passare da 6 a 8, incidendo molto sulle graduatorie!), 70 orti per anziani, un giardino, un impianto di calcetto a 7, vari percorsi che vanno dai subquartieri al centro commerciale, e parcheggi in grande quantità anche per i residenti. Con la COOP abbiamo da subito avviato un discorso sul consumo critico, inserendo nel progetto impegni al risparmio energetico e campagne dedicate al consumo critico. È stata una trattativa col privato, una discussione sullo sviluppo (forse non sostenibile, ma almeno compatibile) che ha permesso di impostare riflessioni sull’equo e solidale, sugli stili di vita e i comportamenti. Anche con il Warner Village la trattativa per vendere anche prodotti equi e non solo americanate sta andando bene…Cerchiamo che i ‘mali’ divengano ‘mali minori’, specie se vogliono dire posti di lavoro. Di necessità virtù, si dice … no?
La cementificazione non ha toccato le dimore e i casali storici. Anzi, sono migliorate grazie all’aumento della rendita intorno al Warner Village. E si è potuta dare risposta ai numerosi nuclei familiari che si dovevano sdoppiare e che ora hanno trovato risposte alle loro esigenze. Molti dei 300 insediandi sono di qui, sono nati qui e hanno intrapreso un percorso affettivo, che si sarebbe potuto interrompere, ma così non è stato. La crescita della ‘rendita’ è dovuto all’aumento della rete del verde e dei servizi (130 ettari più altri 100 nuovi, e Villa Strozzi, Villa Voegel, Isolotto e Argingrosso). Si sono eliminate le zone di degrado con impianti di golf, calcio, 250 orti per anziani, un giardino di 27 ettari e l’ippoterapia. Ancora c’è da lavorare intorno al Ponte all’Indiano. Abbiamo fatto una campagna per innalzare il decoro negli orti urbani sul fiume…

Queste iniziative ne attivano altre dal territorio?
Si, è tutto un fiorire di proposte. Il Centro Civico è una storica ‘sede aperta’, e il Villaggio dei Popoli sta per aprire nel quartiere – con il nostro appoggio – una terza sede cittadina di commercio equo. Secondo me, il modello storico urbanistico di La Pira, con il suo equilibrio tra abitare e relazione, e i caseggiati bassi, ha favorito uno spirito comunitario propositivo, anche attraverso l’appropriazione dei luoghi, portata poi avanti dopo, anche in controtendenza alle Legge 167/62 con i suoi enormi casermoni dell’Argingrosso, oggi da riequilibrare ricucendo organicamente il territorio. La Pira ha umanizzato l’area, lasciando un’eredità forte su tempi lunghi…
Oggi c’è rispondenza alle attese nei cittadini e nei proprietari di aree.
Noi puntiamo molto sugli eventi temporanei: sappiamo che se si dà qualcosa a piccoli passi si può ottenere un guadagno collettivo. Ad esempio, restando in ambito urbanistico… Abbiamo promosso un uso provvisorio della vecchia Elettroplast – con comodato gratuito per due anni da un imprenditore ‘illuminato’ – per darla a un gruppo di giovani con tante attività laboratoriali, palestra, cucina, pareti di arrampicata e pista da skate. Quello che Paba chiama ‘rapporto tra capitale economico e capitale sociale’ ha prodotto il suo esito. Noi pensiamo che tutte le aree dismesse possano avere una funzione temporanea (parcheggio, campi da calcio, strutture volano per immigrati) e possano mostrare usi per far da pilota a forme di recupero più duraturo, talora creando valore aggiunto e legame sociale.
Anche nel PRU con il dialogo abbiamo ottenuto dai privati molto più di quanto previsto ‘a scomputo’ degli oneri. Nell’area Elctroplast-Rorandelli chiederemo come opere di urbanizzazione dei volumi per poter continuare le esperienze artistiche sviluppate sinora. Da un’esperienza sociale abbiamo tratto stimoli urbanistici nuovi. Lo abbiamo anche scritto nel Parere per il Piano Strutturale.
Al cimitero di San Bartolo a Cintola abbiamo fatto un tentativo per restituire all’uso una struttura morta. Per ora non è andata, ma ora che ci viene chiesto un luogo laico per l’ultimo saluto, che non sia lo squallore delle Cappelle del Commiato, ritorneremo all’attacco.
Anche i percorsi di progettazione partecipata, con le scuole e fuori, hanno dato buoni risultati. Paba e il suo gruppo hanno lavorato a San Bartolo, poi alla Gramsci e alla Montagnola. Alla Gramsci è stato coinvolto il privato adiacente, ottenendo lo spazio per una sperimentazione agricola tecnico/scientifica; l’abbiamo avuta in comodato gratuito facendo poi una convenzione con le scuole.
Se l’istituzione porta avanti un lavoro di equilibrio riceve pochissimi ‘NO’ da chiunque. La ‘contaminazione’ e il convergere degli obiettivi crea una comunità non solo sociale, ma dialogante e complessa in tutti i suoi aspetti.
Quando i tempi di risposta sono rapidi, si crea fiducia intergenerazionale, un’atmosfera di stima e di ascolto che abbassa la soglia del pregiudizio e della diffidenza. Nel libro ‘Generatore’, i ragazzi della Electroplast raccontano la loro esperienza. Quando la gente ci ha telefonato per criticare il volume alto della musica, li abbiamo portati a vedere il lavoro di questi giovani, e hanno sempre ceduto…Per fare gli impianti elettrici, abbiamo trovato sponsor a livello territoriale. Ora i ragazzi fanno una ricerca interessante su come gli abitanti intorno percepiscono l’esperienza. Dà vita ad una ricercazione…
Queste cose mi generano un legame fortissimo con i luoghi, che mi rattrista all’idea di aver terminato il mio mandato. Perciò ho chiesto al Comune di fare un censimento delle aree dimesse, per vedere la replicabilità in città di esperienze come questa. Ho voluto fare un lascito istituzionale, andandomene. Vorrei passasse l’idea di come guardarsi intorno, (aprirsi al di fuori quando si ha un’identità forte) sia foriero di innovazioni creative. Abbiamo visitato la zona dei macelli di Siena, pensando di riprodurne gli esiti nella vecchia fabbrica Campolmi. Ora cerchiamo di realizzare la sede provinciale CNA con un centro di formazione artigiana che abbia in sé tutte le fasi: formazione, lavoro e vendita. Anche per dare senso dei cicli completi della produzione, delle filiere attivabili sul territorio. Avrebbe anche un valore simbolico dopo la terra bruciata fatta da ben 2 incendi. Da 20 anni lavoravamo a questo, e grazie a Siena abbiamo quasi risolto. La mia adesione alla Rete del Nuovo Municipio è convinta: sarà un cantiere costante di apprendimento dagli altri.

Gli aspetti simbolici contano molto?
Si, contano anche loro. Il restauro di Villa Voegel era già un obiettivo del mio predecessore. Con l’unificazione dei quartieri negli anni ‘90 siamo riusciti a realizzarla. Cercavamo centralità nel tempo e nello spazio e la abbiamo avuta. Ma ci sono voluti 11 miliardi e un doppio finanziamento per tamponare alcuni errori progettuali…Anche la Limonaia di Villa Strozzi, rifatta da Michelucci, e la nuova Esselunga di Botta sono progetti di qualità, simbolici della rinascita di una centralità del quartiere. E lo stesso disegno della COOP di San Lorenzo a Greve piace molto ai cittadini…

Lasciare le fa paura?
No, non ho paura. Il lavoro fatto finora è stato strutturale, radicandosi in un buon tessuto. Inoltre abbiamo attivato una macchina di professionalità dei dipendenti del Quartiere che è un moltiplicatore fertile e che garantisce continuità. Si andrà sempre a migliorare. Io ci tengo a non legare troppo i progetti alle persone, ma alle comunità. E amo anche fare progetti con chi ne sa di più di noi: l’Università, ad esempio. Federighi ha lavorato alla Biblioteca dell’Isolotto e all’educazione degli adulti, facendone non un luogo di conservazione del libro, ma che va incontro ai potenziali lettori. Da 12.000 siamo passati a 52.000 prestiti. Siamo andati a portare libri in Ospedali, carceri, sale d’attesa dei medici, persino alle Poste. Ora andremo a fare esperienza dei centri commerciali naturali, avendo preparato il terreno con l’integrazione dei servizi. Abbiamo attivato anche servizi informativi di 1° livello su offerte di lavoro e libri in prestito nei centri. Non siamo votati alla grande distribuzione. Finora la rete commerciale minore non ha saputo organizzarsi, ma ora ci riproviamo, come 10 anni fa con le botteghe di Legnaia. Del resto, il negozio ha orari di apertura maggiori dei servizi pubblici e va sfruttato a fini comunitari in questo potenziale…

Secondo lei, queste trasformazioni possono preludere alla messa in maggiore autonomia del Quartiere?
Sento nell’aria un progetto di ‘municipalizzazione dei Quartieri’ ma Firenze ha contraddizioni sul piano politico, le sembrerebbe di ‘smembrare la città’. Il decentramento è sempre stato vissuto male, per ‘sottrazione’ presunta. Ma io non ho mai voluto rubare prerogative altrui, accontentandomi di puntare sull’efficienza e l’efficacia attraverso il coinvolgimento. Solo due settimane fa il Sindaco ha parlato di decentrare asili e scuole…

Che strategie di comunicazione usate per dialogare con i cittadini?
Molteplici. Abbiamo vari livelli di dialogo e momenti di partecipazione alle decisioni. Per la comunicazione c’è un informatore stampato in 33.000 copie, una rubrica a Nova Radio e un modello di URP esportabile, che non dà solo informazioni sulle politiche pubbliche, ma anche su una serie di altre attività, dotandosi di competenze non solo nostre. Vi si trovano, infatti, i rappresentanti dell’ATAF, del Quadrifoglio, il Vigile di Quartiere, il rappresentante dell’ordine dei geometri per consulenze ICI, e dall’anno scorso sperimentiamo l’Ufficio delle entrate (modelli 730 e 740), che evita di far affluire tanta gente in centro. Abbiamo chiesto a Casa Spa – dandogli i locali – se vuol fare sportello affitti e manutenzioni, anche per superare l’incomunicabilità fra enti che genera inefficienze che poi è il cittadino a scontare.
Al centro di Botta abbiamo aperto un’anagrafe, l’unica aperta di giovedi’ pomeriggio, come Palazzo Vecchio. Il Centro Civico ha centralità, ma mancano spazi per tutto ciò che vorremmo farci. Prima della riforma del lavoro passata alla Provincia, il nostro Quartiere è stato pioniere, con corsi di telelavoro per donne e corsi per giardinieri. Non abbiamo aspettato la Provincia, investendo personale e risorse nel miglioramento della qualità del servizio e dell’accoglienza. Anche nelle scuole facciamo seminari sul Drop Out, integrandoci e non duplicando la Provincia, per incrociare domanda e offerta facendo concorrenza alle agenzie interinali. Anche mettendoci a disposizione per selezione e dialogo su altri temi. Accrescendo così il ruolo dell’azienda sul territorio. Ciò ci permette di conoscere capillarmente le risorse che abbiamo. Così che poi usiamo questa conoscenza per dialogare su altri progetti, e comunque possiamo trovare dei punti di incontro per favorire l’integrazione di categorie sociali svantaggiate. Oggi, 38 aziende del territorio hanno dato disponibilità per inserire ragazzi Rom, e molte altre per ragazzi diversamente abili o ex-tossicodipendenti. Abbiamo scoperto una realtà fertile e disponibile, che certo è cresciuta nel tempo… La mappatura è da fare con la Provincia, per completare un mosaico di conoscenze di questa nuova centralità (che io chiamo ‘una delle Firenze oltre le mura’) che non è certo più periferia, almeno sotto il profilo dell’integrazione socio-culturale, del rapporto tra storia e modernità, dell’integrazione delle attività e dell’animazione degli spazi.

Che importanza ha la costruzione di centralità a misura di bambino?
Basilare. Il nostro territorio è fatto sempre più di spazi a misura di bambino, dove la prevenzione del disagio si fa con attività culturali che integrano al gioco la crescita della comprensione della realtà. Le ludoteche sono passate da 1 a 5 negli ultimi anni, anche usando i fondi del vertice 1996 dell’Unione Europea per dotare il quartiere di servizi: poi c’è il progetto della Casa sul Fiume, in parte fatto con l’autocostruzione, e da molti anni è attiva ‘La fattoria dei ragazzi’, uno spazio multifunzionale che nel fine settimana si affitta per compleanni. È una vecchia cascina inglobata dalla crescita urbana, con 1 ettaro per svolgere attività agricole con i bambini (ed anche alcuni segnalati come più difficili) nelle ore di doposcuola. Le attività si fanno però anche con le scuole, e soprattutto accanto ai ‘nonni’, per la trasmissione dei saperi intergenerazionali. È un altro dei luoghi simbolo, in una parte di città che ha ancora vocazione agricola. In Giunta hanno sorriso quando abbiamo comprato galli, capre e ciuco sardo. Ma siamo stati irremovibili: sono parte di un’educazione al contatto con la natura che ha certo una grande importanza per sensibilizzare le generazioni che ci sostituiranno nell’abitare i luoghi. E su questo dobbiamo lottare col Comune che prima accetta la nostra logica di naturalizzazione, e poi ci vuole imporre di ospitare l’inutile Luna-Park nel Parco fluviale dell’Argingrosso.
In questo senso il laghetto osservato dal WWF, con nidificazione di specie e passaggi di uccelli migratori, è un altro punto forte del progetto di comunità in dialogo con la presenza diffusa e immanente del territorio aperto.

Da poco avete attivato l’esperienza del filosofo di quartiere…
La consulenza filosofica, ripercorrendo le metodologie maieutiche messe a punto dal filosofo Gerd Achenbach per riproporre nell’oggi il ruolo “pubblico” e “pratico” svolto dalla filosofia nell’antica Grecia, ha fatto scoprire a tanti fiorentini un’opportunità assai meno "invadente" della psicoterapia, per rivalutare l’approccio umanistico, empatico e "comprensivo" delle relazioni d’aiuto. Abbiamo puntato a riavviare un dialogo ‘paritario’ con gli altri a partire dalla condivisione di letture problematiche del rapporto tra esistenza individuale e spazi collettivi di vita. Il successo che ha avuto ci ha confortato. È parte anche di un progetto più vasto, mirato ad intrecciare i saperi sul territorio, contro lo strapotere delle ‘caste non dialoganti’. Mandare i soggetti dove servono è un modo di sfruttare meglio tutto il sapere sociale diffuso del territorio, salvaguardare la molteplicità – direi una sorta di ‘ecosistema culturale – e aumentare le opportunità per i cittadini di non intraprendere percorsi dolorosi come la psicoterapia, che non sempre sono necessari per dare soluzione a tutti i problemi. E che in ogni caso possono non essere la risposta che uno cerca, o essere non adatta al livello del problema, o non attivare una reazione costruttiva consapevole del soggetto, da socializzare con gli altri che abitano il territorio. La filosofia è forse un percorso di cui si può parlare di più con gli altri, espanderne la conoscenza, agire – ancora una volta – da moltiplicatore. Oggi stiamo mantenendo questo servizio con fatica (anche per le pressioni di altre categorie) ma con successo. Del resto, è coerente con una filosofia nostra, attenta a dare sempre risposte multiple a problemi multipli. In più, amplia il panorama culturale dei cittadini, in modo pragmatico, senza scavare nelle vite, come dimostra il testo ‘Platone è meglio del Prozac’, e ridà forza all’idea dell’interdisciplinarietà dei saperi che devono arricchire il territorio, recuperando la densità temporale dei mestieri.
A proposito di questa filosofia che guida – per noi – l’intervento di stimolo e guida dell’Ente pubblico (e che non viene dal nulla, perché molte di queste idee nascono su stimolo di membri della comunità) volevo aggiungere una cosa sui Piani Integrati di Salute. Nella riforma della Società della Salute che riporta agli Enti Locali le decisioni in materia all’interno di un ampliarsi e articolarsi delle competenze, abbiamo pensato di lavorare su una linea che ci sta molto a cuore. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha scritto da poco che solo per il 15% il settore sanitario incide sulla salute del cittadino, il resto viene dall’ambiente, dalla corretta alimentazione, dagli stili di vita più attenti a dosare lavoro e riposo, città e spazi aperti. Così abbiamo pensato a misure integrate che riportassero questo discorso sul territorio e nelle politiche. Abbiamo impostato un progetto “Lo sport per tutte e per tutta la vita” unito a progetti menopausa, fumo, stili di vita. Sono progetti interconnessi che mirano a formare (con opuscoli scritti distribuiti da tutti i medici di base e attraverso programmi sportivi) per puntare sull’adozione di stili di vita e di alimentazione meglio calibrati e più rispettosi dell’equilibrio psicofisico, oltre che della tutela attiva delle risorse territoriali e dei beni comuni. “Alimentare il corpo e la mente” è oggi un obiettivo centrale della nostra istituzione. Così abbiamo attivato dei Circoli di Studio (oggi sono 25) che sono luoghi di autoaiuto e autoformazione in comune. L’idea è nordeuropea e punta a creare strumenti e opportunità che coinvolgono gruppetti di 8 cittadini su temi di interesse comune (dalle erbette al contratto di lavoro di un’azienda). Il Quartiere offre degli spazi per l’autorganizzazione, un tutor e un esperto per crescere tecnicamente nella conoscenza: e così imprime forza alla socializzazione di un interesse e ad allargare il raggio delle amicizie di ognuno. Aiutando, per di più, in un risultato pratico: ad essere attivi fisicamente e mentalmente. Parlo di attività materiale, non di agonismo. Di solito ad una certa età si smette. Noi pensiamo ad attività motorie per tutta la vita con percorsi verdi, anche pubblicando opuscoli e una cartina dei percorsi sportivi e di quelli ‘umidi’. In questo puntiamo a creare un ‘nodo di senso’ che mescoli assessorati che oggi fanno programmi settoriali e separati, attraverso la costruzione di un ampio progetto di coinvolgimento del territorio, di una finalità comune, che sposti verso età tarde le situazioni patologiche e le diminuisca anche attraverso una prevenzione che non appaia forzatura, ma rientri nell’adozione di stili di vita diversi in equilibrio con la società e la natura.
È così che pensiamo alla comunità, e siamo contenti di averne visto crescere una, anzi più d’una nel nostro territorio, con un forte senso di appartenenza. Deve però essere una comunità aperta. Per questo lavoriamo sul mondo. Oggi abbiamo progetti a Suto Orizai, città Rom della Macedonia, ma anche a El Salvador (la partenza è stata un impegno della comunità dell’Isolotto) e nel Chiapas – dove sono le scuole ad averci condotto.
Abbiamo, tra l’altro, dato subito forma ad un’idea del Presidente della Regione Martini, lanciata al Forum di San Rossore: la costruzione di un planisfero per riflettere sulle guerre dimenticate, schiacciate dal peso mediatico di Iraq e Afghanistan. Di tutte le altre non si parla? Bene, per noi è parte dell’educazione alla pace recuperare il rimosso, organizzare conferenze e testimonianze dirette, valorizzare gli immigrati che abbiamo sul territorio, portandoli a raccontare, lavorare con i bambini all’analisi su quei paesi…

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