Sovranità, eticità e partecipazione nella Provincia di Venezia

Alessandro Sabicciu

Nei giorni scorsi si è tenuta la riunione preparatoria, per il Nordest, in vista di questa assemblea nazionale. Confermo il giudizio positivo che diedi del documento preparatorio e, pur nella evidente schematicità di cui mi scuso in anticipo, desidero ribadirne le ragioni.
Siamo in presenza, da molto tempo ma ora con una evidenza straordinaria, di un gigantesco problema di sovranità. Sta prendendo forma, nel processo di riscrittura di un nuovo ordine mondiale, una società – insieme locale e planetaria – fondata sull’insicurezza. Una società dell’incertezza che tollera, subisce, sopporta, persino condivide in alcune sue parti, le derive autoritarie per come si vanno manifestando. Tutto viene reso incerto, insicuro, la vita stessa diventa incerta per miliardi di esseri umani. Tutto viene reso precario, in modi, forme e drammaticità ovviamente differenti, sia che si ragioni su scala globale che locale.
La guerra, non più “prosecuzione della politica con altre forme”, “legittimata” dalla insicurezza globale diventa addirittura elemento costituente del nuovo ordine mondiale e rappresenta la risposta autoritaria attraverso la quale le strutture di comando della globalizzazione autoritaria allargano il proprio potere. Su scala locale la società dell’incertezza, fondata sulla precarietà del vivere (precarietà sanitaria, pensionistica, dell’istruzione, del lavoro, della casa) sopporta i populismi, i fondamentalismi, e reagisce in forme ancora minoritarie alla deriva autoritaria della democrazia ed al restringimento delle stesse libertà individuali.
E’ sempre più difficile sottrarre argomenti, scelte alla deriva autoritaria e mantenerli incardinati sulle nostre potestà. La società dell’incertezza non nasce ieri, si è sviluppata nel corso di anni principalmente attraverso un formidabile processo di privatizzazione del tutto. In un mondo unico (mercato globale, lingua globale, cibo unico con un unico sapore, le stesse fiabe di Walt Disney per tutti i bimbi del mondo) si è sviluppato un enorme processo di privatizzazione della terra, dell’acqua (le sorgenti, i grandi invasi, gli acquedotti sotto casa nostra), delle risorse energetiche, del genoma umano, della sanità, dell’istruzione, di tutti i servizi pubblici.
Tutto viene privatizzato, a livello planetario e locale, e la guerra è lo strumento fondamentale per sostenere questo processo di privatizzazione che rappresenta la linfa del nuovo ordine mondiale.
E’ persino banale ribadire che l’antidoto al conformismo planetario, alla riduzione del tutto ad uno, sta nella riarticolazione di un pensiero della differenza e nella ricostruzione delle forme della democrazia reale e partecipata.
Servono le nuove agorà, serve la ricostruzione degli spazi pubblici, sia sociali che di servizi e di produzione, sui quali riaffermare il valore della sovranità su noi stessi. Parte del mondo “democratico” pensa che non sia possibile un altro mondo da questo e, pertanto, riduce se stessa nella condizione di subalternità, tipica di chi ha perso la speranza e ritiene che si possa sviluppare unicamente della “buona amministrazione” come una sorta di terapia della riduzione del danno.
La buona amministrazione è condizione necessaria ma non sufficiente e non ci si può ridurre a tecnici per la tecnica amministrativa. Parafrasando Democrito dobbiamo pensare ai nuovi municipi come agli atomi che, in relazione fra loro, in rete appunto, possano dare vita a grandi organismi democratici in grado di sviluppare iniziative, proposte, comportamenti che, appunto in rete tra loro, articolino una massa critica in grado di mutare le culture, le sensibilità, e di modificare anche, cosa che non guasta, i rapporti di forza sociali e politici. Questo è ancora più necessario in una terra, il falsamente mitico nord est, che si caratterizza, giorno dopo giorno, come una sorta di “frontiera esposta” alle più perniciose derive autoritarie con tratti persino eversivi.
Oggi, che la crisi economica produce miglioria di licenziati a Treviso e Vicenza e rende evidenti i limiti propri del modello (nanismo imprenditoriale, sottocapitalizzazione, bassi salari, lavoro precoce e lavoro precario, scarsa istruzione e formazione), sento forte da un lato il pericolo di una ulteriore deriva razzista e xenofoba autoritaria e ademocratica che possa coinvolgere/travolgere il Veneto, e dall’altro l’esigenza di ricostruire una nuova centralità pubblica in grado di fornire a diversi soggetti (il movimento dei movimenti, associazioni, sindacati, partiti, individui…) delle piattaforme organizzative e delle forme di partecipazione/gestione che rimettano al centro gli interessi delle persone e non quello assoluto dell’impresa.

Come amministrazione della Provincia di Venezia ci stiamo muovendo su più piani a partire dalla scelta di dare corpo alla “Provincia etica” da intendersi come apertura di un processo, insieme culturale, politico e amministrativo, in grado di ridare ruolo e cuore ad un luogo, l’ente locale, altrimenti soffocato dalla esclusività di comportamenti che, sempre più, si sviluppano sotto dettatura di chi scrive le leggi di bilancio e, attraverso queste, decide le politiche sempre più segnate, ancora, dalle privatizzazioni che riducono le persone da cittadini a merce.
Anche per queste ragioni vogliamo aderire alla Rete: perché pensiamo che non ci sia niente di più etico, in politica e nell’amministrare, della ricerca di nuove forme della democrazia nella salvaguardia e nella realizzazione di nuovi spazi pubblici locali per la ricostruzione della cittadinanza per molti versi ora negata.

Venezia, 12/11/2004
Alessandro Sabiucciu

Versione stampabile - RTF (clic destro + "Salva con nome..." per salvare il file senza visualizzarlo)