Un programma
Di [auto]governo
Pierluigi Sullo (da "Liberazione" del 5 Novembre 2004)

Il dilemma lo ha posto su questo giornale Piero Sansonetti: vogliamo liberarci del solo Berlusconi, o anche del berlusconismo? Dato che il berlusconismo altro non è, se non la versione italiana del neoliberismo nella sua fase suprema - la guerra - sarebbe opportuno che nella Grande Alleanza Democratica che si prepara per i prossimi voti scomparissero anche le tracce di quel che fu l’”Ulivo mondiale”, ovvero l’illusione possa esistere un liberismo “di sinistra”. E siccome è pretendere troppo, ecco la domanda conseguente: come si fa a spingere la Gad, nel suo insieme, verso quella necessaria direzione? Dico necessaria, perché mi pare che i temi elencati da Sansonetti - farla finita con la legge 30, con la Bossi-Fini, con l’avventura militare in Iraq - per così dire parlano da soli. E molti altri se ne potrebbero aggiungere - dalla conoscenza all’informazione, dai beni comuni alle grandi opere - che ci parlano di un’esperienza di governo, quella dell’Ulivo, che ha aperto brecce in cui il berlusconismo ha poi fatto irruzione.
Non lo ricordo per rivangare, ma per prevenire. Del resto, questo è lo scopo dichiarato della discussione, che riappare a tratti, sul fatto che sarebbe opportuno sommare i diversi partiti “a sinistra di”, pacifisti e antiliberisti, in modo da opporre un argine. Sembra ragionevole. Ma ancor più ragionevole è - mi pare - il commento di Fausto Bertinotti, che ha pronunciato la parola magica: autogestita. O auto-organizzata. Tale dovrebbe essere un’assemblea, un “cantiere” - parola che ormai usano in molti - in cui la Gad, o le parti di essa che fossero interessate, possano intrecciare discorsi ed esperienze con la società civile variamente organizzata. Solo così, si dice, la “ricchezza” dei movimenti sociali potrebbe approdare a un qualche esito politico, nel programma, cioè nei comportamenti, degli antagonisti di Berlusconi.
Giusto. Però, dal mio punto di vista, rovescerei i termini del problema. Faccio un esempio: nelle scorse settimane è accaduto un fatto politico assai rilevante. La Cgil - l’organizzazione sociale più grande, che rappresenta quasi un italiano ogni dieci - ha inviato ai dirigenti della Gad un documento in cui si elencavano i temi e le proposte che, secondo il sindacato, il programma di un futuro governo dovrebbe comprendere. E si aggiungeva che per elaborare, per fondare, questi temi, sarebbe “urgente aprire un vero e proprio cantiere”, cui partecipino “più soggetti, singoli cittadini elettori, associazioni, movimenti…”. Si può certamente discutere questa o quella tesi contenuta nel documento della Cgil (che d’altra parte contiene molte affermazioni inedite), ma il fatto nuovo, e importante, è che il documento sia stato scritto e inviato, e che ci si proponga una consultazione, anzi co-decisione, con quell’insieme di reti, o movimenti, che un programma di governo lo sta scrivendo in pratica, da alcuni anni in qua.
Preciserei: un programma di [auto]governo. Il dilagare del tema della democrazia partecipativa, o municipale, è il segnale che un vasto movimento sta cambiando di fatto, nelle città, le cattive abitudini della democrazia rappresentativa. Ed è il segnale che il buon senso diffuso sta accogliendo un contenuto fondamentale: quello per cui lo “sviluppo”, la competizione, il calcolo economico elevato al rango di suprema legge della vita associata, sono ormai nocivi. E’ in questo contesto che nascono le ribellioni “modello Scanzano”, la resistenza ad alte velocità e ai ponti sugli stretti, nonché l’auto-promozione dell’accoglienza ai migranti e l’auto-educazione alla pace, le reti dei lavoratori precari e gli infiniti fenomeni - ed esperimenti sociali - che costituiscono la sostanza del movimento altermondialista. In una parola, della società civile attiva.
Che altro è, la petizione della campagna Sbilanciamoci!, che raggruppa decine di associazioni e reti, se non la proposta realistica di un’altra politica della spesa pubblica? E la conferenza in preparazione con molte persone della società civile irachena, non è l’elaborazione di un’altra politica estera? O ancora, il fatto che centinaia di comuni abbiano messo in pratica l’idea di quel genio anarchico di Luigi Veronelli, le De.Co. [Denominazioni comunali, a protezione dei prodotti locali, dei contadini e dei consumatori, dall’omologazione neoliberista del cibo], non è, in sé, la proposta di un altro ciclo dell’alimentazione? E i Gruppi di acquisto solidali, i Distretti dell’economia solidale, le Ong e il terzo settore che si costituiscono in Tavola della solidarietà [unica qualità richiesta, non essere “embedded”, arruolati], i coordinamenti di genitori a difesa della scuola per tutti, i movimenti [come Action a Roma] che scrivono un nuovo patto dell’abitare, o la Rete del Nuovo Municipio che si prepara alla sua seconda assemblea nazionale e che conta soci ormai in cento comuni e province, e così via e così via, non sono questi, tutti insieme, i redattori di un buon “programma”?
“Mi pare - ha scritto Paul Ginsborg sul manifesto di martedì 2 novembre - che i punti programmatici della Cgil sono un buon punto di partenza”. E aggiunge: “Se i vertici [politici, ndr.] non riescono a partire, partiamo noi dal basso, al livello cittadino… Dopo tutto, l’Italia è il paese delle cento città, che hanno prodotto nella lunga durata della loro storia tanta cultura, anche quella politica”. Dunque, non solo “un cantiere”, come dice la Cgil, ma centinaia di cantieri cittadini della società civile, in cui tutte le buone idee e le buone pratiche possano essere esposte, elaborate, proposte. Questo è, mi pare, il modo “autogestito” in cui la società civile può prevenire una Turco-Napolitano bis, una riforma della scuola Berlinguer bis, o un Kosovo tris. I partiti come Rifondazione, i Verdi, i Comunisti italiani, la sinistra dei Ds, e chiunque sia interessato, anche oltre gli schieramenti dati, ne ricaverebbero un grande impulso, perché non si tratterebbe più solo di agitare bandiere anche molto nobili, come quella della pace, ma di cominciare a farla, la pace.

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Sabato 13, a Bologna, il Nuovo Municipio
Pierluigi Sullo (da "Il Manifesto" del 6 Novembre 2004)

Sabato prossimo, 13 novembre, si terrà a Bologna la seconda assemblea nazionale di una aggregazione tanto strana, da risultare invisibile agli occhi dei media. Ad aprire l’assemblea, in qualità di padrone di casa, sarà Sergio Cofferati, e questa circostanza attirerà forse qualche cronista, che magari chiederà all’ex segretario della Cgil se, per vincere, il centrosinistra debba guardare al “centro” o piuttosto scegliere una linea “massimalista”. Dilemmi lunari, in un luogo come quello.
La Rete del Nuovo Municipio è nata un anno fa, a Empoli, ma il lavorìo per costruirla risale al 2002, quando molti studiosi della città e del territorio scrissero un documento, la “Carta del Nuovo Municipio”, e lo presentarono al secondo Forum sociale mondiale, a Porto Alegre. Nel maggio successivo, a Roma, quegli studiosi, con Carta e con alcuni Municipi romani, organizzarono il Cantiere del Nuovo Municipio, un incontro che servì per raccontarsi, e per conoscersi, alle tre “componenti” che crearono poi la Rete: i ricercatori, appunto, gli amministratori locali e, ingrediente essenziale, associazioni, reti e movimenti sociali. La Rete del Nuovo Municipio, quindi, non è [solo] un grande gruppo di studio, non è certamente una Anci più radicale, non è nemmeno un coordinamento “di movimento” atipico. Quando si chiede ai altri soci fondatori della Rete, che cosa, in effetti, stanno facendo, la risposta è: stiamo lavorando a un nuovo paradigma della democrazia - dato l’esaurirsi di quella esistente - la cui parola chiave è “autogoverno”.
Perciò, la Rete non è la promotrice del Bilancio Partecipativo, perché quello è solo uno dei tanti mezzi, per creare, nelle “cento città italiane” di cui ha scritto su questo giornale Paul Ginsborg, forme nuove di partecipazione. Per la precisione: modi in cui le istituzioni locali cedono quote crescenti di potere decisionale ai cittadini e secondo procedure formalizzate e trasparenti. Si capisce che, per far questo, sono necessari i saperi [quelli dei dipartimenti universitari, ma anche e soprattutto quelli che si formano nell’esperienza sociale], gli agenti della democrazia locale [sindaci, assessori, presidenti di Provincia…], i cittadini già organizzati in movimenti e reti sociali [come Action, l’agenzia per la casa romana, o i Distretti dell’economia solidale, o l’Arci, Attac, i “laboratori territoriali” siciliani, eccetera].
Ma la proposta di una nuova democrazia, cittadina e allo stesso tempo inserita nel flussi globali, ha lo scopo di difendere i territori da quel che piove su di loro dall’alto, gli effetti pratici del neoliberismo. Perciò il Nuovo Municipio [o il Contro-Municipio, quando la città sia governata dalla destra] promuove lo “sviluppo locale autosostenibile”, una concezione totalmente altra del ben-essere sociale, della produzione, del commercio e del consumo.
In un anno, questa proposta ha attratto centinaia di amministratori locali e intere istituzioni [città come Venezia e province come quella di Milano], “nodi” della Rete sono nati in molte regioni, e il rapporto con le reti sociali locali si è intensificato. Si può fare di più, e la seconda assemblea si domanderà come. Specialmente attorno alla domanda: non farebbe bene, il centrosinistra, a non guardare né al “centro” né al “massimalismo”, ma piuttosto “in basso”, dove un “programma di [auto]governo”, sicuramente alternativo a quello di Berlusconi, è effettivamente in fase avanzata di redazione?
A Bologna, Sala Farnese, Palazzo Comunale, Piazza Maggiore. Sabato 13 novembre, dalle ore 9,30 alle 18. Chiunque può partecipare.

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