Comunicazione e Nuovi Municipi
Intervista ad Angelo M. Cirasino (Responsabile web e comunicazione ARNM) di Elena Carli (dottoranda in Società dell'Informazione presso l'Università di Milano Bicocca), per la tesi di dottorato "New global e new media: un approccio comunicativo all'analisi dei nuovi movimenti sociali"

19 Settembre 2005

1. Se dovesse descrivere in poche parole il progetto - Associazione Rete del Nuovo Municipio, come la definirebbe?
La Rete del Nuovo Municipio - cito me stesso - è un'associazione fra amministratori locali, esponenti del mondo associativo di base e ricercatori, attivi intorno alle tematiche della democrazia partecipativa e delle nuove forme di cittadinanza attiva contenute nella Carta del Nuovo Municipio, documento redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Alberto Magnaghi e discusso, a partire dal 2002, nei Forum Sociali Mondiali di Porto Alegre e Mumbai ed in quelli Europei di Firenze, Parigi e Londra. L'idea è quella di convogliare, in una forma associativa stabile, le istanze di allargamento delle dinamiche di decision-making provenienti dai vari settori della società civile, dagli ambiti istituzionali più sensibili al tema dell'ascolto dei rappresentati, dagli studiosi interessati alle problematiche dell'empowerment delle comunità locali nel governo del territorio; il fine operativo è invece quello di collegare in un'impresa collettiva le iniziative puntiformi già in atto nel campo sul territorio, per dare loro una reale valenza propositiva ed anticipatrice dell'orizzonte di sviluppo locale autosostenibile disegnato dalla Carta.

2. Quali sono i campi di intervento? Quali gli obiettivi e quale tipo di pubblico si cerca di raggiungere (politici, cittadini, associazioni, etc.)?
Il campo d'elezione della Rete è, molto semplicemente, il buon governo del territorio: questo coinvolge una miriade di topics, dalle emergenze ambientali alla oculata gestione delle risorse territoriali, dalla trasparenza delle procedure di decisione e di spesa all'affermazione della sovranità locale, dalla promozione dell'impresa e della finanza etiche alle reti di solidarietà, dall'opposizione alla guerra e alla violenza alle politiche per la valorizzazione delle differenze. I due poli attorno a cui si dipana questa varietà di argomenti sono uno di carattere metodologico, l'altro sostanziale: da una parte sta la partecipazione, dall'altra il modello di sviluppo. Siamo convinti che la democrazia debba essere - per dirla con i nostri amici francesi di DRD - "radicalmente democratizzata", e che quest'obiettivo sia condizionato alla creazione di istituti partecipativi intermedi e stabili attraverso cui convogliare le voci (non importa quanto concordi o articolate) della cittadinanza attiva; e siamo convinti che il modello di sviluppo tardo-capitalistico (così come lo stesso concetto mitologico di "sviluppo"), basato sulla competizione e lo sfruttamento indiscriminati, si stia dimostrando gravemente insufficiente a rispondere alle esigenze del pianeta - oltre che penalizzante in modo intollerabile per molti dei suoi abitanti. Cerchiamo dunque, agendo in qualche modo da catalizzatore, di innescare delle dinamiche concertative, a livello locale e sovralocale, che diano luogo ad un progetto di futuro veramente consapevole e condiviso nelle comunità; e quindi di immettere il sapere (tecnico, procedurale, teorico) prodotto da queste esperienze in una circolazione ampia e reticolare che possa diffonderlo e accrescerlo, con in vista la creazione di una vera e propria impresa collettiva di trasformazione del mondo. È ovvio che una simile impresa ha bisogno di avere, come "pubblico" e allo stesso tempo come "attori", tutte e tre le componenti citate nella domanda - che non per nulla sono proprio le tre "teste" di cui consta l'Associazione.

3. Come nasce e come si sviluppa, a Suo parere, il tema della democrazia partecipata? In particolare quale ruolo ha avuto la diffusione e pubblicizzazione dell’esperienza di Porto Alegre e quale ruolo (se c’è!) ha avuto la comunicazione nella diffusione di questo tema dall’America Latina all’Italia?
L'eredità di Porto Alegre ha avuto certamente un peso considerevole: non si può impostare un discorso sulle nuove forme della democrazia prescindendo completamente da quell'esperienza, che - nel bene come nel male - ha segnato tutto quello che nel mondo si è detto e fatto intorno alla partecipazione, divenendo in breve icona universale della democrazia diretta. Personalmente ho contribuito alla pubblicazione di due volumi dedicati alla città brasiliana da Giovanni Allegretti, credo una delle massime autorità mondiali sul tema e membro dalla prima ora del nostro Consiglio Direttivo. Questa eredità è stata però, per noi, anche molto ingombrante: nella pratica quotidiana della comunicazione, il rischio che spesso corriamo è di passare per puri pubblicisti di un modello di interazione fra attori sociali, istituzionali ed economici assolutamente peculiare, e che invece si vorrebbe "esportare" come si trattasse di una panacea per il buon governo dei territori. L'esperienza di Porto Alegre, a mio avviso, riesce ad essere esemplare proprio e solo nella misura in cui viene letta nella sua tipicità spazio-temporale. Uno dei presupposti fondamentali dell'analisi che sottostà all'ampio disegno della Carta è che il territorio, per citare Alberto Magnaghi, non assomiglia affatto al "foglio bianco dell'ex-tempore", uno spazio indifferenziato su cui collocare gli edifici e le strutture che ospiteranno le attività pianificate, ma determina piuttosto un costante travaso dei propri caratteri dominanti nelle regole delle attività che vi si svolgono, e le assume a sua volta come elementi caratterizzanti la propria identità locale; come conseguenza, i contesti territoriali non sono intercambiabili: non posso fare a Firenze quello che farei a Buenos Aires o a Mosca, e soprattutto non ho alcun interesse a farlo. Per nostra buona sorte, le istanze di rinnovamento radicale della vita politica, sociale ed economica non si sono fermate a Porto Alegre: è giusto quindi usare la forza propulsiva e comunicativa di quell'esperienza, ma solo come suggestione, come dimostrazione implicita dell'esistenza di una possibilità; non come Rivelazione da "attualizzare" o "applicare" ad altri luoghi del mondo, sia pure con urgenze ed emergenze consimili.

4. Esiste e/o come si sviluppa un’identità collettiva all’interno della RNM? C’è una ricerca di un’unità nelle differenze ideologiche o vi è una matrice ideologica comune?
Per fortuna o per sfortuna, le "identità ideologiche" si sono venute largamente confondendo in questi ultimi anni, perdendo quella funzione di discrimine irrevocabile che avevano fino all'altro ieri. A noi territorialisti sta più a cuore però un altro tipo di identità, quella dei luoghi, che si genera nell'interrelazione durevole fra ambiente e comunità insediate: è sulla base di questa identità di natura pattizia (di volta in volta diversa, ma le cui regole generative sono le stesse ovunque) che, attraverso la comune considerazione di quello locale come il livello strategico per orientare il modello complessivo di sviluppo, prende forma l'identità collettiva della Rete - che deve poi concretizzarsi nell'"impresa" di cui parlavo poco fa. È chiaro che un disegno che presuppone, al livello prima analitico e poi pratico, una critica severa e generalizzata al modello di sviluppo capitalistico non può che trovare maggiore rispondenza nel versante politico-ideologico costituzionalmente più disposto ad ascoltarla, quello della Sinistra; ma questo non toglie che i nostri argomenti possano essere - e siano stati - apprezzati anche in altri settori: penso per esempio all'estesa convergenza sulle tematiche partecipative riscontrata durante la campagna per l'elezione del sindaco di Firenze, o al prossimo coinvolgimento di alcune amministrazioni di Centro-Destra nella III Assemblea nazionale degli Enti Locali che sperimentano pratiche partecipative (che si terrà a Bari il prossimo 5 Novembre).

5. Come si struttura e si organizza la RNM al suo interno (i nodi, i tavoli territoriali, i rapporti con il resto del movimento, etc….)? Come vi relazionate invece con gli altri movimenti? Quale ruolo ha la comunicazione nell’organizzazione e nell’attività di networking del movimento?
La struttura della Rete è piuttosto complessa. I soci afferiscono ad un certo numero (attualmente una decina, in crescita) di Nodi territoriali di ambito regionale o sovraregionale, i cui responsabili o delegati vanno a costituire il Comitato Esecutivo nazionale, con compiti di orientamento e supporto operativo degli interventi predisposti sul territorio. Questo Comitato affianca il Consiglio Direttivo, composto da personalità particolarmente eminenti provenienti dalle tre "teste" della Rete (Autorità locali, Associazioni e ricercatori), nella gestione strategica delle attività dell'Associazione. L'organico è completato da un Presidente, affiancato da due Vicepresidenti e da un Coordinatore nazionale, e da una struttura tecnica che comprende un ufficio di segreteria e la funzione comunicazione, ricoperta dal sottoscritto. A questi organi si aggiungono poi le Commissioni tematiche (al momento quattro: Neomunicipalismo e federalismo, Nuove economie, Smilitarizzazione dei territori, Cittadinanza e genere), con il compito di monitorare la riflessione e gli eventi notevoli in ciascuno dei campi pertinenti e di istruire e promuovere le azioni territoriali che li riguardano. All'esterno, la Rete collabora più o meno stabilmente con numerosi altri movimenti, dalla Rete Lilliput alla Rete delle Economie Solidali, da OneWorld ai Mayors for Peace, da ATTAC all'ARCI, a Italia Nostra, al WWF e così via - un elenco parziale è nella nostra pagina dei links; dal momento che la Rete è un'organizzazione tutto sommato molto giovane (compirà due anni il prossimo 8 Novembre), le relazioni sono formalizzate solo in qualche caso, e sono tuttora principalmente basate sulla comunicazione e sugli scambi informativi: il passaggio alla concertazione di interventi comuni, già avviato in alcuni casi lodevoli, resta per ora essenzialmente al livello sperimentale. Come conseguenza, il ruolo principale della funzione comunicativa è quello di raccogliere e far circolare, all'interno come all'esterno, gli elementi di quel "sapere partecipativo" a cui accennavo prima, tentando di trasformarli in altrettanti inputs o stimoli validi per l'avvio di trasformazioni significative in realtà e contesti territoriali, politici o socio-economici differenti; appare però urgente, dal mio punto di vista, l'assunzione di compiti più propriamente legati al coordinamento operativo e logistico degli interventi locali, alla raccolta di feed-back non semplicemente informativo riguardo alle iniziative promosse e al riorientamento, in base ad esso, degli indirizzi strategici dell'Associazione.

6. Quali sono i repertori d’azione utilizzati (dalle campagne all’azione di lobbying, dalla raccolta firme alle assemblee pubbliche)? Quale peso assume la comunicazione ed il web?
Un peso decisivo. Come dicevo, in questa fase intermedia, che segue quella costituente, la Rete è chiamata anzitutto a costruire, allargare e consolidare la sua base relazionale, creando attorno a sé un reticolo di rapporti virtuosi ed aumentando la propria credibilità presso tutti i suoi interlocutori caratteristici, dentro e fuori l'Associazione. Tutto quello che facciamo deve avere, dunque, un risvolto comunicativo più o meno immediato: dalla visita su invito all'ONU in occasione delle manifestazioni per l'abolizione immediata delle armi nucleari, alla consulenza prestata alla Presidenza della Regione Toscana per la redazione della prima Legge Regionale in Italia sulla partecipazione, alla campagna per il boicottaggio della Coca-Cola, agli appelli ai Comuni per l'accoglienza immediata dei rifugiati stranieri, all'avvio in varie parti d'Italia delle procedure per la formulazione di un programma elettorale e di governo autenticamente condiviso. Le nostre inclinazioni (e la nostra storia, anche prima e fuori dell'Associazione formalmente costituita) vanno certamente verso il "lavoro sporco", verso la minuziosa, complicata e incerta opera di costruzione di momenti comuni di discussione e deliberazione in ambito locale - siano essi tavoli di concertazione, laboratori territoriali o forum virtuali; ma questi strumenti non sempre attingono il livello di visibilità pubblica che meriterebbero, complici l'allargamento e la banalizzazione dello scenario spettacolare e comunicativo su base globale e lo smisurato potere culturale dell'informazione centralizzata: siamo così costretti a frequentare forme d'intervento meno proprie quali le campagne, gli appelli, le lettere aperte, i confronti pubblici fra personaggi all'ordine del giorno, e tutto il nutrito strumentario di azioni mediaticamente rilevanti fino alla dimostrazione di piazza. Un discorso a parte merita la comunicazione web, in grado di veicolare contemporaneamente messaggi su scala locale e globale, in termini sia di target sia di contenuto: oltre a costituire un pregio insostituibile dal punto di vista tecnico, questa caratteristica rende il web in qualche modo un'icona della condizione strutturale della Rete, nata proprio per costruire il locale come alternativa globale. Attualmente quasi tutta la nostra attività passa attraverso il web, mediante una piccola costellazione di siti fratelli che stiamo cercando via via di rendere più interattivi e friendly (ci sono anche due blog multitematici e sei o sette forum tematici o territoriali, oltre ad una mailing list a rete e ad alcune a stella); il limite dello strumento, per ora, è solo quello già menzionato a proposito della comunicazione in generale, la predominanza del ruolo informativo e di registrazione di eventi su quello più propriamente propositivo-progettuale, ma questo sembra legato più alla delicata fase di crescita dell'associazione che a inadeguatezze strutturali vere e proprie.

7. Su quale dimensione spaziale si muove la RNM: locale, nazionale o internazionale? Se vi sono links o azioni su dimensione globale, come si attivano? On o off line: quale dimensione si privilegia?
La Rete è un'associazione nazionale, che mette in circolazione contenuti essenzialmente locali e ha referenti e corrispondenti internazionali. La Rete stessa è un link, come dicevo ora, un modo per riferire esperienze ad altre esperienze, per costruire a partire dalla base conoscenza, memoria e progetto delle nuove forme di democrazia sostanziale, e questo in tutti gli ambiti di riferimento possibili. Abbiamo verificato, però, che l'allargamento delle azioni sulla scala continentale e globale, sebbene comunicativamente assai remunerativo in termini di acquisizione di visibilità e credibilità, rischia di determinare una dispersione organizzativa e pratica nelle attività della Rete, oltre che di travisarne la natura creando l'immagine di una sorta di agenzia culturale a vocazione essenzialmente etica e generalista, occultando le opzioni e le discriminanti politiche di fondo del nostro lavoro; ci siamo così limitati ad attivare alcune partnerships mirate di carattere essenzialmente informativo e nella forma tipica della risonanza on line, rimandando le collaborazioni vere e proprie ad una fase ulteriore, in cui il consolidamento anche procedurale del modus operandi caratteristico della Rete ci permetterà di affacciarci sullo scenario globale con posizioni più "taglienti" e meno universalistiche.

8. Quali strategie si mettono in campo per agevolare la partecipazione e per sperimentare la democrazia diretta all’interno del movimento? In che modo si sperimenta la democrazia diretta? Quale ruolo ha la comunicazione e il web?
La partecipazione, come ho detto, è il centro della nostra attività: tutte le forme di transazione pubblica che permettono un allargamento dei processi di formazione delle decisioni - dalla consultazione estemporanea al bilancio partecipativo, dai tavoli tematici alle vertenze territoriali, dai laboratori autoorganizzati alla distribuzione di questionari - rappresentano per noi altrettante occasioni per promuovere il rinnovamento in senso diretto della democrazia (naturalmente meglio quando supportate da una funzione sviluppata di ascolto da parte delle amministrazioni). Bisogna capire però che la democrazia partecipativa è solo, come dicevo prima, l'estremo procedurale del nostro discorso - laddove quello sostanziale è il modello di sviluppo o (per non disturbare eccessivamente Latouche) di futuro. La Confederazione Elvetica costituisce un modello esemplare di democrazia diretta, con il suo celebre e tradizionale uso del referendum etc.: se però le scelte a cui la cittadinanza è chiamata a partecipare sono l'espulsione degli anarchici dal territorio nazionale o il rifiuto del passaporto per i figli di immigrati, si comprenderà come la possibilità di esprimere il proprio parere non sia tutto in questa materia. La nostra posizione si basa sull'assunzione - plausibile ma non certa - che un "futuro condiviso", se lo è autenticamente, tende a conformarsi agli standard di sostenibilità globale/locale individuati dagli scienziati nella ricerca teorica e sul campo; ma questa assunzione è comunque frutto di congettura, e nulla ci pregarantisce che la coloritura politica (nel senso non di "ideologica" o partitica, ma di "pertinente a opzioni di fondo scientificamente non banali") dei processi partecipativi li farà rivolgere nella "giusta" direzione. Alle volte le nostre congetture sono disattese dagli stessi cittadini partecipanti, come quando proponemmo il recupero abitativo e funzionale di un pregevole centro storico collinare a residenti che, invece, si mostrarono tutti entusiasti di averlo abbandonato per l'infinitamente maggiore facilità di trovare parcheggio nello squallido centro gemello cresciuto caoticamente in pianura. La comunicazione qui deve dunque assumere anche - per quanto sia antipatico dirlo - un carattere propriamente educativo: di educazione alle tecniche e ai modi della partecipazione da un lato, ai suoi contenuti di autosostenibilità dall'altro; e questo tanto nei confronti degli amministratori quanto in quelli degli amministrati. Noi siamo gli ultimi a pensare di possedere verità rivelate di sorta, né crediamo ad un processo maieutico capace di far emergere come per magia, dai territori e dai loro abitanti, le verità nascoste nella profondità delle pietre o delle coscienze; ci limitiamo a fare la nostra proposta, magari non del tutto arbitraria ma "politicamente" ben caratterizzata, e a comunicarla e propagandarla con la maggiore efficienza possibile.

9. Attraverso quali canali solitamente cercate di raggiungere il pubblico di cittadini o le istituzioni? Quale ruolo ha la comunicazione interpersonale, quella autoprodotta (es. sito Internet) e quale quella veicolata dai media?
Al momento siamo ancora in una fase di valutazione dell'efficacia comunicativa relativa dei vari strumenti, fase peraltro piuttosto laboriosa perché non è facile, in questo campo, distinguere il feed-back pertinente allo strumento da quello casuale o dipendente dal contenuto. Ad esempio, grande visibilità ed un notevole riscontro pubblico hanno meritato azioni come la campagna - essenzialmente mediatica - per il boicottaggio della Coca-Cola o gli incontri pubblici ed il convegno per la Legge toscana sulla partecipazione - a fronte del gradimento non eccezionale ottenuto, p.es., dalla mobilitazione dei sindaci per l'accoglienza ai profughi della Cap Anamur o dal percorso che ha portato all'elaborazione di un programma elettorale e di governo partecipato in Toscana - entrambe azioni, rispettivamente, della stessa impostazione tecnico-comunicativa e dello stesso peso progettuale delle sorelle più fortunate. Non dimentichiamo che la Rete è un organizzazione decisamente giovane: dobbiamo imparare a selezionare gli stili, i canali e i mezzi comunicativi da porre in opera, ad adeguarne la scelta alle potenzialità comunicative e propositive delle azioni promosse, e infine a valutare queste ultime con un occhio anche all'efficienza della macchina comunicativa che ci mettono in grado di allestire; e l'unico modo per imparare è quello galileiano, per tentativi ed errori.

10. Che rapporti cercate di instaurare con i media tradizionali? E con i media indipendenti? Con quali collaborate?
Nell'ultimo anno di attività, la visibilità e l'attendibilità della Rete sono aumentate in modo quasi spettacolare: mentre il numero dei contatti con il nostro sito web è passato da 10-15 a 120-180 al giorno, i passaggi su stampa, radio e televisione si sono andati notevolmente moltiplicando. L'informazione ufficiale trova sempre più difficile ignorare una stranezza a cui aderiscono centinaia di Comuni, una decina di Province e almeno tre Regioni; ma quando ci dà spazio, lo fa tuttora in modo non convinto, sospettoso, di malavoglia, come se la mancanza di una tradizione di visibilità pubblica dovesse pur avere un valido motivo - una sorta di darwinismo comunicativo, forse ancor più ottuso di quello sociale. Noi cerchiamo di aggirare il problema appoggiandoci sulla comunicazione dei nostri soci mediaticamente più fortunati, come ad esempio l'ARCI, Italia Nostra o la Provincia di Milano, e non ne facciamo un dramma. Quello che invece desta perplessità è l'esitazione con cui siamo generalmente considerati anche dai media alternativi, probabilmente legati ad una tradizione movimentista che genera sospetto riguardo a quella che, tutto sommato, è pur sempre una rete di istituzioni - sia pure locali e dotate di ottime intenzioni: a parte alcuni casi eccellenti (come la solidissima collaborazione con AMISnet, con il portale OneWorld o con alcune illuminate mailing list locali), gli spazi che la Rete guadagna su questo fronte sono numerosi ma di scarso pregio. Male di crescenza o strutturale, questo dato indica soltanto che la Rete deve imparare - e presto - a provvedere da sé alle proprie esigenze comunicative, a partire dall'elaborazione di format caratteristici e riconoscibili, e ritagliarsi un proprio spazio mediatico canonico fra l'incudine dell'informazione generalista ed il martello delle fanzines di movimento.

11. Mettete in campo delle strategie specifiche per essere riportati dai media (es. azioni mediatiche)?
Sono del parere che la visibilità debba essere considerata un mezzo e non un fine degli interventi: fare qualcosa semplicemente perché venga vista non mi sembra abbia molto senso al di là del puro esibizionismo. Non intendo certo proporre una regola di clausura monacale, né sono così ingenuo da credere che la fama arriderà a chi la merita indipendentemente da come si segnala, anzi: come ho già detto, il risvolto comunicativo delle azioni assume un'importanza primaria in una fase di sviluppo come quella tratteggiata. Solo ritengo che, come diceva Federico Engels, si debbano rimettere le cose con i piedi per terra e la testa in alto. Il rischio di considerare la popolarità il parametro ultimativo dell'efficacia del proprio lavoro è molto consistente, specie per chi si occupa di comunicazione; e questo atteggiamento può portare ad una pericolosa autonomizzazione della dimensione comunicativa che minaccia di far smarrire il senso e lo sfondo materiali dell'intera avventura. Non credo dunque che la Rete debba porre in opera stratagemmi direttamente rivolti all'acquisizione di visibilità; sono convinto invece che la valenza comunicativa debba rientrare fra i criteri mediante cui si valuta l'opportunità di un intervento, e come uno dei più importanti. Ma le due cose non sono in alcun modo la stessa.

12. A Suo parere, c’è una novità apportata alla strategia del movimento dalla presenza di Internet o dalla nascita di canali di informazione indipendente? Che ruolo ha avuto e/o avrà la Rete web?
È opinione diffusa che l'avvento del mezzo telematico abbia determinato una generale democratizzazione dell'informazione, grazie alla creazione di spazi comunicativi oggettivamente fuori dal controllo delle Major, attraverso cui è possibile far passare contenuti alternativi e svincolati, oltre che dalle censure politiche e culturali, anche dagli obblighi del format spettacolare dominante. Abbiamo sperimentato che questo non è sempre vero: le attese degli utenti vanno verso una forma ed un contenuto comunicativi modellati sugli standard delle agenzie culturali più popolari, limitando drasticamente la ricettività del pubblico nei confronti di esempi inattesi o eccentrici. Per fare un esempio neutrale, consideriamo solo la lunghezza dei documenti; malgrado il tempo maggiore che occorrerebbe per leggerle, le nostre pagine più lunghe ricevono, in media, visite di durata del 60% inferiore rispetto a quelle più brevi: la pagina lunga scoraggia la lettura indipendentemente da quel che c'è scritto (ad esempio, un'intervista come questa avrebbe scarsa fortuna sul web). La comunicazione "ufficiale", dunque, tende ad essere pervasiva in termini sia di contenuti sia di forme: il suo potere coercitivo non viene esercitato soltanto affollando lo spazio comunicativo di messaggi controllati, ma anche dettando - al pubblico ed agli operatori - la griglia di aspettative per quelli non controllati. E finché il web continuerà ad essere un dominio quasi esclusivo delle grandi aziende, sembra vano sperare in una sua reale funzione liberatrice. Altro discorso vale per le piazze telematiche, i forum virtuali o i blog autoprodotti, strumenti nati proprio per supportare comunità comunicative indipendenti - e che noi cerchiamo di utilizzare e promuovere sempre più largamente; il loro limite generale resta però proprio il legame strutturale con gruppi più o meno esoterici, che preclude loro l'accesso ai grandi spazi generalistici in cui si gioca la vera partita del web. Anche nel campo telematico, dunque, come in quello territoriale, la democrazia radicale ha margini consistenti di affermazione solo a partire dal livello locale; il passo ulteriore sarà, naturalmente, quello di collegare queste esperienze in una rete di controinformazione diffusa - di creare, accanto e assieme a quella reale, la Rete Virtuale del Nuovo Municipio: ci stiamo già lavorando, restate in ascolto.

13. In definitiva, che ruolo ha la comunicazione nel vostro intervento/azione?
In qualunque impresa concertata, la comunicazione gioca un ruolo determinante: nella società dell'informazione, la realtà non è quel che c'è, ma ciò che si dice che ci sia - e questo non ha nulla a che vedere con le truffe mediatiche a cui siamo fin troppo abituati, è semplicemente un nesso strutturale di cui siamo chiamati a prendere atto. Il versante che, fino ad oggi, si è più conseguentemente adattato a questa constatazione è certamente quello delle comunicazioni di massa; la manipolazione scientifica delle coscienze, che ha messo in pratica fino dal primo dopoguerra, gli ha permesso di deformare e padroneggiare l'interazione sociale, politica, economica e culturale fino ad esiti davvero impressionanti: la stessa globalizzazione, per citare Elvio Dal Bosco, prima ancora che una realtà è una leggenda, un prodotto culturale sapientemente confezionato che si rivolge anzitutto all'immaginario collettivo e impersonale del pubblico - televisivo prima e del web poi. Allora il modello di interazione sociale che noi intendiamo promuovere (solidale, bottom-up, non gerarchico e centrato sul locale) passa necessariamente attraverso la proposizione di un modello comunicativo alternativo, fatto di piccole reti locali che si scambiano esperienze, proposte e commenti, infiltrandosi negli spazi dismessi dai grandi flussi informativi e commerciali e cercando di riusarli in modo intelligente e creativo. Non è una questione complementare, di immagine, è una questione sostanziale di pratica dell'alternativa. Fino ad ora noi abbiamo cercato principalmente di diffondere la conoscenza dell'alternativa, confidando soprattutto nel potenziale evocativo degli esempi virtuosi che, per propria forza interna, dovrebbero indurre comportamenti imitativi: è così che, nelle nostre assemblee, almeno l'80% del tempo è dedicato di regola al racconto di quanto già realizzato - con punte (o meglio plateaux) di vera e propria autocelebrazione; certo, l'elenco delle buone pratiche si ispessisce sempre più, ma non possiamo sperare di entrare in concorrenza con la storica prassi emulativa della vecchia politica che, ogni volta che noi segniamo un punto a nostro favore, ne segna contemporaneamente tre. La comunicazione del Nuovo Municipio deve seguire così un'altra strada, passando dall'esempio alla proposta: l'obiettivo deve essere la creazione ed il consolidamento di spazi di discussione e di coordinamento attraverso cui far passare contenuti progettuali, suggerimenti, nuove prospettive. E se questa lunga intervista, oltre a raccontare chi siamo e da dove veniamo, ha fatto passare anche una sola indicazione su dove andiamo, allora è un passo nella giusta direzione.

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