IL RESPIRO DELLA POLITICA
di Eros Tommasi (Socio ANPAs, Direttore Sanitario della Pubblica Assistenza di Sasso Marconi)

Per consuetudine il respiro della politica deve essere ampio, ma da tempo mi appare asfittico.
Occorre pensare a uno spazio creativo, una finestra culturale, che lavori su modelli ideali, lontano dalla logica di potere e di convenienza elettorale, libero di muoversi fuori dalle esigenze di partito, per costruire dei progetti che ricerchino il benessere della collettività.

In premessa intendo fare una osservazione riguardante il rito dell’alternanza di governo, che rischia di trasformarsi in democrazia apparente se non si riescono a sviluppare contenuti veramente alternativi fra gli schieramenti. Anche in politica si guarda al sistema americano come ad un modello da imitare, ma personalmente lo trovo stucchevole. Probabilmente sarò miope, ma dopo anni di alternanza fra “Repubblicani” e “Democratici” non riesco a vedere cosa cambi nella sostanza se governano gli uni o gli altri. Ovviamente c’è una miriade di provvedimenti marginali che servono a distinguersi, ma nell’insieme non cambia nulla. Questo perché non viene mai messo in discussione il “sistema”, che è funzionale al potere, sia economico che politico.
Le oligarchie del potere trovano la loro legittimazione attraverso le elezioni, che mantengono viva l’illusione della libertà e della democrazia, mentre il cittadino non ha concrete possibilità di incidere sulle scelte che gli vengono preconfezionate, quindi si accontenta di delegare, schierandosi con una parte o con l’altra più per motivi affettivi che razionali, oppure prende coscienza del gioco delle parti e si disinteressa alla politica, tanto è vero che parte dell’astensionismo elettorale è paradossalmente determinato da persone che hanno forse maggiore coscienza civica di tanti elettori rituali. Se prendiamo atto di questi fatti, non ritengo si possa importare in Italia questo sistema in modo acritico. Il problema comunque non risiede tanto nel modello di governo quanto nei contenuti e nell’azione di governo.

Il modello economico capitalista - liberista, uscito vittorioso dopo la fine della “guerra fredda”, ha ingabbiato il mondo politico, che di fronte al trionfo del “sistema” non ha saputo replicare e ha rinunciato a gran parte delle proprie prerogative in campo economico. Pensiamo a tutti i provvedimenti internazionali che limitano la sovranità nazionale a vantaggio del libero mercato. Abbiamo assistito inermi ad una politica di “spolicitizzazione” che dietro pretesto di libertà, ha attuato una deregolamentazione selvaggia e attribuito ai determinismi economici un potere assoluto. La politica è stata costretta a muoversi entro limiti amministrativi, ma se si tratta solo di amministrare forse un “tecnico” può farlo meglio di un “politico” e può capitare che un uomo di “destra” lo possa fare meglio di uno di “sinistra”.
A questo punto non si capisce più nulla e le differenze si appiattiscono nel “pensiero unico”.
Il sistema economico dominante è funzionale al mantenimento delle oligarchie di potere e non tiene conto dell’economia reale e delle sue grandi potenzialità.
Attraverso una assurda politica monetarista provoca, con il pretesto dell’inflazione, una riduzione del potere d’acquisto delle masse, che genera ogni sorta di povertà, che nel nostro mondo si chiamano “nuove”, anche se sono piuttosto vecchie, mentre nel terzo mondo sono antiche e si chiamano “fame”. Si calcolano centomila morti di fame al giorno, in un pianeta le cui risorse alimentari potrebbero sostenere il doppio dell’attuale popolazione.
Questo “sistema” riesce a crearsi dei problemi di sovrapproduzione con conseguente stagnazione economica (prodotti invenduti, sussidi per ridurre la produzione ecc.), a fronte di tanti bisogni insoddisfatti. Una tale incongruità, sotto gli occhi di tutti, dovrebbe far scuotere il buon senso comune della gente e condurre ad una riflessione su cosa diavolo stiamo combinando, invece non accade nulla, le menti sono obnubilate dai falsi dogmi inculcati dal potere.
Un altro paradosso che possiamo osservare, fra i tanti, deriva dallo sviluppo della tecnologia, la quale aumenta la capacità di produrre ricchezze diminuendo il lavoro per l’uomo.
Questo fatto anziché migliorare le condizioni di vita per tutti, determina disoccupazione fra i lavoratori e accumulo di capitale nelle mani di pochi (oligarchia di potere). E’ noto infatti che i duecento più grandi capitalisti del mondo gestiscono un reddito circa pari a quello del 50% della popolazione mondiale, residente nelle regioni più povere.
Abbiamo lavoratori disoccupati, materie prime (ancora per un po’) e capacità tecniche per realizzare grandi progetti, ma facciamo mancare le risorse per realizzarle. Si preferisce pagare sussidi di disoccupazione piuttosto che dare onesto lavoro alla gente per risolvere i tanti problemi che ci circondano. Siamo costretti in un mondo di penuria e di grandi disparità sociali, allorché per la prima volta nella storia dell’umanità, avremmo le potenzialità per trasformare il Pianeta in un paradiso terrestre. Nella realtà occidentale non manca la capacità di produrre una marea di beni tale da sommergere e forse anche soffocare il mondo intero. Mi sembra evidente, il problema è dare lavoro e reddito adeguato alla gente. Mi chiedo, dobbiamo insegnarlo noi agli economisti liberali che per far funzionare una economia di mercato occorrono consumatori in grado di consumare?
Invece, se le cose vanno un poco meglio, la produzione e i consumi aumentano e la disoccupazione diminuisce, i mercati finanziari sono colti dal panico, perché questi indici sono premonitori di una possibile ripresa dell’inflazione e del rialzo dei tassi di interesse, quindi la borsa va in flessione, frenando rapidamente la ripresa economica.
E’ inutile fare politiche di sostegno alla produzione, come propone la destra, quando il potere di acquisto delle masse è soffocato ed è la causa principale della recessione. Per uscire dalla crisi permanente della nostra economia, occorre un forte impegno pubblico, capace di sostituirsi alla insufficiente domanda privata, e una politica monetaria meno restrittiva, che in Europa significa anche rivedere i criteri previsti dal Trattato di Maastricht.

Tutto questo però non basta, il modello economico liberale va corretto e governato, altrimenti porterà alla distruzione ecologica del Pianeta. Il “sistema” è basato sul mito dello sviluppo espansivo e illimitato, funziona bene solo quando c’è crescita, non prevede che ci siano dei “limiti dello sviluppo”. E’ chiaro il richiamo al documento, di oltre trenta anni fa, del Club di Roma, di quel grande personaggio che è stato Aurelio Peccei. La prognosi del documento era evidentemente sbagliata, per nostra fortuna, ma la diagnosi era a mio avviso corretta ed è ancora attuale.
Oggi si parla molto di sviluppo sostenibile. Il concetto è giusto, ma c’è poca chiarezza su come realizzarlo. Per lo più si pensa ad un modello di vita morigerato e accompagnato da un’equa distribuzione delle risorse. L’idea sul piano etico è molto bella, ma non si attaglia alle regole dell’economia di mercato. Se anche si riuscisse a far abbandonare i propri privilegi al mondo occidentale, cosa di cui dubito fortemente, il risultato sarebbe verosimilmente una forte recessione economica, senza concreti vantaggi per i lavoratori e per i poveri diseredati del mondo.
Il cambiamento dello stile di vita deve essere accompagnato dalla realizzazione di una economia al servizio dell’uomo, che abbandoni la ricerca di una affannosa crescita quantitativa, governata dalla sola logica del profitto, per costruire uno sviluppo qualitativo, che abbia al centro dei propri interessi la condizione di vita dell’uomo sul Pianeta. In questo ambito veramente la crescita può considerarsi illimitata e può interessare tutti i settori dell’economia, ma prioritariamente deve a mio avviso dedicarsi alla eliminazione della condizione di povertà e alla salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale. Attraverso la ridistribuzione del lavoro e il supporto della tecnologia, è anche auspicabile che l’uomo possa affrancarsi da un lavoro alienante e riesca a trovare più tempo per godersi la vita e per crescere spiritualmente, assecondando il proprio destino evolutivo.
Per ottenere tutto ciò la politica deve recuperare capacità di progettazione e di governo economico, non possiamo lasciarci guidare dalla acefala “stateless global governance” proposta dai signori dei mercati mondiali.
Bisogna reagire a questo potere occulto e trovare strategie per ridare respiro alla politica.

Epifania 2005
Eros Tommasi

Versione stampabile - PDF