Stiamo lavorando per voi
Uno spettro si aggira per l'Italia: lo spettro della modernizzazione. L'ultima carta giocata dal Governo Berlusconi per rivendicare un'operatività che non gli è mai appartenuta è quella delle "grandi opere", una serie impressionante di 125 interventi sul territorio (qui la loro rutilante lista) che uniscono mitologia sviluppista, disprezzo per l'ambiente e - diciamo così - spregiudicatezza finanziaria in un violento attacco al diritto di autodeterminazione delle comunità insediate e alla sua formalizzazione costituzionale, il principio di sussidiarietà degli Enti Locali. I costi - immaginabili - della campagna pubblicitaria allestita per questa campagna di "sviluppo" testimoniano della rilevanza della posta in gioco: si tratta di stanziare subito una massa di capitali così considerevole da rendere la realizzazione delle opere sostanzialmente immune rispetto a qualunque decisione di qualunque Governo a venire; e questo - a prescindere da eventuali casi di malaffare, su cui lasciamo alla Magistratura di svolgere il suo ruolo di controllo - significa bloccare lo sviluppo del Paese in una direzione determinata almeno per i prossimi dieci anni, accendendo una pesantissima ipoteca non solo sulla futura politica infrastrutturale, ma anche su quella economica, sociale, finanziaria, sindacale, sul posizionamento dell'Italia nei rapporti di forza internazionali e sui rapporti fra Governo centrale e Autonomie locali.
Non ce ne accorgiamo ora. Il ricorso ad uno strumento ibrido e inedito come la "legge-obiettivo", il drastico alleggerimento delle procedure per l'approvazione e il finanziamento delle opere, l'introduzione del "main contractor" per velocizzare le gare, il disprezzo mostrato verso i ricorrenti warning dell'Unione Europea avevano già da tempo configurato un terreno di confronto aspro e intransigente, che più di recente in Val di Susa ha mostrato il suo vero volto di scontro fra due opposte idee di futuro. Subito dopo quello scontro, però, le due strade hanno cominciato a divergere: mentre la prima continuava imperterrita a strombazzare cifre da capogiro, come se questo bastasse a illustrare i pregi dell'operazione (e non piuttosto i suoi limiti), la seconda ha cominciato a proliferare lentamente, prima con telefonate e e-mail, poi con incontri bilaterali, via via finché, Lunedì scorso a Condove e ieri a Messina, non è apparso chiaro il nuovo orizzonte politico che lega i vari movimenti locali di opposizione ai proclami governativi. In barba a chi si ostina a parlare di luddismo, la somma dei "No" (al TAV, al Ponte, al rigassificatore, al MOSE...) si sta gradatamente trasformando in un "Sì" collettivo ad una nuova concezione del governo del territorio, in cui le linee dello sviluppo non corrano su canali decisionali ad accesso riservato ma diventino oggetto di scelte condivise, basate sul primato strategico della dimensione locale e sui suoi collegamenti in rete.
Quello che si sta formando, a margine del colpo di coda modernizzatore del Governo della destra, è una marea ribollente di piccole opere, di convergenze localizzate e inedite, di riconoscimenti reciproci, incontri, discussioni, proposte che crescono come funghi sul tronco marcescente della politica dello sviluppo a ogni costo. Nella sua compatta ottusità, essa ha così avuto il merito di mettere all'ordine del giorno del dibattito pubblico la consistenza di un'idea del benessere come crescita indefinita, lasciando che le piccole lotte "contro" si convogliassero in una grande impresa "per" trasformare radicalmente il modello di sviluppo del nostro Paese. Per questo credo che dobbiamo tutti ringraziare il Governo: come recitano gli spot televisivi, sembra davvero che questi signori, sebbene intenti a tutt'altri - e assai meno rispettabili - scopi, stiano lavorando per noi.
(AMC, 23 Gennaio 2006)