Comunicato sul Referendum Costituzionale - Giugno 2006
NO alla devolution e all'autoritarismo centralista della controriforma
per liberare una reale prospettiva federalista solidale ed una ricostruzione democratica fondata su autonomie e partecipazione

Testo a cura di Giorgio Ferraresi (Responsabile del Nodo Lombardo della Rete del Nuovo Municipio, or-dinario di Urbanistica presso il Politecnico di Milano) e Salvatore Amura (Coordinatore nazionale ARNM)

1. Che il referendum sia un vero confronto sulle drammatiche questioni democratiche in gioco
La discussione sul referendum deve divenire a nostro avviso occasione di un vero confronto consapevole: uno spazio pubblico in cui si riconosca e si esprima chiaramente il peso e la gravità delle questioni in gioco. Il referendum infatti, per quanto non riguardi direttamente la prima parte della costituzione in termini di principi fondativi e diritti basilari dei cittadini, affronta le questioni che li condizionano: le questioni dei poteri e delle forme di governo e della stessa struttura della Repubblica, delle istituzioni e della vita civile; si tocca quindi il cuore stesso dell'espressione della democrazia, delle autonomie dei soggetti sociali e delle diverse istituzioni nelle relazioni con il popolo.
Per vincere crediamo pertanto essenziale motivare e mobilitare per il “no” proprio chi ritiene fondamentale il federalismo e la ricostruzione democratica dal basso espressa dall’autonomia sociale e dalle istituzioni di base, municipali in primo luogo.
È importante che su questo punto non ci siano equivoci: non si vota “no” per avere più centralismo ma proprio, al contrario, per liberare una prospettiva di autonomia e di federalismo reale che in parte si sta già praticando nelle esperienze di partecipazione e di democrazia locale diffuse ormai in tutto il Paese. Ricordando che il federalismo è un'antica battaglia della sinistra, del pensiero libertario, liberale democratico e del solidarismo cristiano e che è affermato nella costituzione come valorizzazione delle autonomie, prima di tutto dei Comuni.
Non si può contare su un voto “in negativo”, difensivo, di reazione che, oltre a correre il serio rischio di perdere, anche vincendo non costruisce futuro migliore:
- non si può sostenere il voto contro la devolution lasciando spazio a tendenze anacronistiche di ritorno allo statalismo;
- non si stimola il rifiuto del “capo populista” lasciando intravedere una riproposizione della delega al ceto politico in crisi e al parlamentarismo alla “Cencelli”.
Perciò il voto va motivato e sostenuto da percorsi vivi in campo, in quella direzione di costruzione di autonomia e nuova democrazia, da quei progetti e quelle speranze.

2. Partire dal federalismo in campo: il contributo della Rete del Nuovo Municipio e gli sviluppi del municipalismo
Per questo la Rete del Nuovo Municipio propone un contributo al referendum che muova da ciò che è proprio della esperienza e del messaggio che la Rete può fornire: un percorso in atto di uscita dalla crisi attuale della democrazia a partire da forme di democrazia partecipativa (espressione di autonomia e responsabilità sociale) come rigenerazione dell'autonomia delle istituzioni di base sino a ridefinire forme e funzioni delle istituzioni in generale, dai Comuni allo Stato. Un percorso dal basso che costituisce la base di un federalismo reale, democratico e solidale.
Questo percorso è praticato ormai in Italia da centinaia di Comuni, molte Province e Regioni che collaborano nella Rete insieme a soggetti dei movimenti, associazioni come Arci, Attac, Rete Lilliput, Distretti di Economie Solidali, laboratori universitari di ricerca.
Il “Federalismo municipale solidale” è stato proprio il tema dell’ultima assemblea nazionale della Rete, svoltasi a Bari nel Novembre 2005, coorganizzata in collaborazione con la Regione Puglia, il Comune di Bari e molti altri enti e soggetti.
In questo spazio civile del municipalismo (nei Comuni e ora esteso come principio agli altri Enti di scala maggiore), in questo spazio pubblico nella Rete e più diffusamente nel Paese, si esprimono esperienze fondamentali su due poli - che sono anche i due cuori della Carta del Nuovo Municipio:
a) la rifondazione democratica partecipativa e l’estensione della cittadinanza come diritto attivo;
b) le pratiche e i progetti di difesa e valorizzazione dei beni pubblici, dei patrimoni e delle culture dei territori, per nuove economie e solidarietà locali ed in reti interlocali.
Questi soggetti sociali ed istituzionali di base si fanno carico quindi del tema del federalismo perché “sono il federalismo”: reale, strutturale, municipale e solidale. I progetti e le pratiche sociali ed economiche dei movimenti sociali e della cittadinanza attiva, ed i percorsi di democrazia diretta e partecipativa negli spazi municipali fondano “autonomia”, liberazione di spazio pubblico, non-dominio e responsabilità. E reti vaste non gerarchiche di autonomie.
Un primo punto fermo è posto da queste pratiche: il federalismo delle autonomie non si decide per legge ma è fondato (e poi normato in legge o in politiche) sul riconoscimento delle pratiche sociali ed amministrative, sui tracciati dell'autonomia reale che si sperimenta sul campo. Il federalismo si costruisce “dal basso” nei territori, non si devolve per legge dall’alto e contro le autonomie di base.
Invece proprio in questa direzione opposta (dall’alto, autoritariamente, contro le autonomie di base) si è espressa la politica che in questi anni ha condotto alla modificazione della costituzione del centro/destra anticipandone i contenuti nel governo e nel processo di trasformazione regressiva della cultura civile.
Ed infatti i soggetti ed i percorsi della democrazia di base e della autonomia municipale sono divenuti il nemico principale, il bersaglio fondamentale delle politiche autoritarie e centraliste del berlusconismo - quindi della stessa “devolution” che di queste politiche è il coerente prodotto, attraverso un contenimento mirato del ruolo politico e civile del cittadino e delle autonomie istituzionali di base.

3. La “democrazia” autoritaria di Stato produce la controriforma della devolution: il neo centralismo regionale come progetto
Si possono indicare le basi politiche e culturali da tempo in atto che precedono e che esprimono in coerenza questa modifica delle regole costituzionali del centro-destra.
- La degenerazione in atto della “democrazia degli eletti” è in piena contrapposizione con ogni pratica di democrazia partecipativa: nel mondo del berlusconismo, la relazioni dell'eletto con il cittadino è solo delega elettorale plebiscitaria, mediatica, e rifiuta ogni controllo e interferenza sociale nei “lavori in corso”. Ciò corrisponde d’altra parte ad una diffusa autoreferenzialità del ceto politico anche oltre l’interpretazione autoritaria della destra; una condizione che la legge elettorale del passato governo ha scientemente enfatizzato.
- L’ideologia della “devolution” è essenzialmente regionalista, prevede essenzialmente una ripartizione di potere legislativo solo tra Stato e Regioni; mentre si praticano contemporaneamente, ai due livelli, politiche sistematiche di distruzione delle autonomie locali di base, dei municipi e delle loro reti, forme storiche delle autonomie: sottrazione di risorse e di sovranità di gestione locale dei servizi e del welfare che invece ora sono sempre più accentrate proprio nei governi regionali (il neo-centralismo regionale, antifederalista).
Nella ripartizione è lo Stato che “devolve”: appunto il “federalismo” di Stato, per legge, dall’alto. E nella devoluzione si riproduce lo Stato, il suo ceto dirigente, la sua burocrazia e il potere forte dei “governatori” nei piccoli Stati regionali.
Il processo in atto (destinato a tradursi nella riforma costituzionale) è inoltre geneticamente “secessionista" - e quindi non cooperativo e non solidale tra aree forti e deboli. I “federalisti” regionalisti della Lega sono infatti in partenza secessionisti, fautori di Stati regionali o d’area - la Padania innanzitutto - separati e competitivi. E quindi mediano (ma non rinunciano a questa impostazione di fondo) attraverso una alleanza politica della devoluzione con il massimo di potere centrale autoritario del berlusconismo; il paradosso di un centralismo di stato che sostiene un neo-centralismo regionale chiamato per ironia storica “federalismo”: è questo che lascia la sua traccia forte nella “devolution” della modifica costituzionale.
- L’una e l’altra delle due dimensioni citate estendono il dominio del mercato e dello sviluppo neoliberista come modello omologante, imposto, che nega autonomia a culture e vie di sviluppo alternative e locali, persegue la svendita dei beni pubblici e del territorio, e la distruzione dei sistemi di servizi locali su cui si regge il welfare.
Su queste basi si può capire il grave progetto sotteso alla riforma costituzionale del centro destra: è un progetto (assai simile al programma della P2) di costruzione di uno Stato autoritario e di un potere populista del “capo” - e di un regionale coerente con questo progetto, contro le autonomie sottoposte, a partire dalla negazione della autonomia sociale.
È questo progetto che spiega la natura delle modificazioni costituzionali proposte:
- la devolution della controriforma è solo regionale, riduce il preteso federalismo appunto alla devoluzione da parte dello Stato di alcune competenze legislative “esclusive” (che esclusive non sono affatto) alle Regioni ; mentre non si prevede alcun norma che contrasti la riduzione in atto della autonomia amministrativa e sovranità municipale e il nuovo accentramento regionale dei poteri sottratti a comuni ed altri enti sotto-ordinati;
- lascia al potere legislativo centrale tutte le decisioni di indirizzo politico generale, anche sulle stesse materie che si dicono “devolute” in modo esclusivo (?) alle Regioni;
- non prevede la rappresentanza effettiva delle Regioni nel cosiddetto “Senato delle Regioni”, che è in realtà il senato nazionale eletto per collegi elettorali regionali e dove è prevista al presenza di pochissimi rappresentanti dei governi regionali e di altri Enti locali ma senza possibilità di voto;
- non affronta il tema del federalismo fiscale, senza il quale lo stesso regionalismo non può operare e tanto meno l’autonomia comunale di base, limitandosi a richiamare in un articoletto finale l'autonomia fiscale gia prevista dall’attuale testo costituzionale, e solo per rimandarne l’attuazione di anni e porre limiti invalicabili di imposizione fiscale;
- non prevede alcuna forma solidale reale tra le Regioni, soprattutto per quanto attiene alle funzioni interamente (?) “devolute”;
- la devolution è comunque sovrastata (come detto) da un incombente potere autoritario e centralista, concentrato nelle mani del “primo ministro", eletto direttamente, che propone le leggi, non è in pratica sfiduciabile e può sciogliere il parlamento; si tratta di poteri di un “caudillo”, da non confondere con una forma presidenzialista che invece, ove si realizzi come negli USA, non prevede alcun potere legislativo del presidente direttamente eletto;
- questo concentrazione antidemocratica di poteri politici attorno al “capo” si estende alla composizione del consiglio del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale che vedono aumentati i componenti di nomina politica; e riduce il ruolo del Presidente della Repubblica a “funzioni notarili”.
Questo quadro di modifiche costituzionali è anche contraddittorio ed inefficiente (per mutuare l’espressione usata da Calderoli per definire la nuova legge elettorale), in ordine alle cose già dette e ad altre rilevate da molti costituzionalisti: l’esclusività pretesa e insieme contraddetta delle attribuzioni alle Regioni, il Senato delle Regioni che delle Regioni non è, il federalismo che è solo proclamato e non c’è, l’autonomia fiscale non trattata, il pasticcio delle diverse modalità di formazione delle diverse leggi (di competenza regionale, mista, statale, ecc.).
Ma questo imbroglio inefficiente ed ideologico non è tuttavia per questo meno pericoloso, rappresenta comunque quel lucido progetto implicito reazionario che si è detto e va quindi respinto con determinazione.
Questa legge costituzionale rappresenta il tradimento della costituzione nata dalla resistenza: il tarlo autoritario ed il falso federalismo, a cui si deve dire NO per ricominciare il discorso partendo dal federalismo della Costituzione data e dal suo sviluppo come avanzamento che nuove pratiche e nuove domande richiedono.
Per questo oltre al NO nel referendum alla devolution ed alla “democrazia” autoritaria va detto un SÌ ad altre forme di federalismo dal basso che vivono nei territori insieme ad altre forme di costruzione di nuova democrazia partecipativa.

4. La democrazia partecipativa ed il federalismo municipale; l’autonomia come principio, lo spazio pubblico come luogo: neo-democrazia e neo-politica
L’alternativa a questo stato di cose trova radici quindi in un nuovo modello di democrazia partecipativa come fondazione di autonomia istituzionale degli Enti locali: questo è essenzialmente il “federalismo municipale solidale”.
Che prima di tutto è autonomia dei soggetti sociali, possibilità di espressione, di iniziativa, di progetto; che diviene fondazione di spazio pubblico quando si rapporta alle istituzioni di base e interagisce con la rappresentanza sviluppando elementi di “democrazia diretta” partecipativa, consensuale e/o generata dai conflitti (un “nuovo paradigma della democrazia”); e quando assume contenuti solidali, relazionali, di nuova cittadinanza, di responsabilità sui beni pubblici e territorio, su altre economie: “una neopolitica” quindi.
In questo si riconosce in un modello del federalismo che si può definire (con Pino Gangemi che richiama Silvio Trentin) “federalismo per partecipare”, che sviluppa democrazia radicale come fondamento di ogni autonomia; contapposto ad un “federalismo per decidere” (basato su modalità formali, contrattuali, mercantili) espresso da alcuni teorici della destra e che è anche in parte alla base della devolution.
Si tratta di un approccio al federalismo che quindi è fondato quindi sulla partecipazione e sull'interazione; e muove dallo spazio municipale, dall’istituzione di base; e di lì parte la generazione di rapporti della stessa natura (interattiva, partecipativa, espressioni di responsabilità e iniziative, di cittadinanza attiva) in più ampi contesti e più alti livelli.
Già le reti di cooperazione intercomunale esprimono un municipalismo di area vasta con capacità di gestire elementi di locale strategico: il municipalismo è cioè multidimensionale, è federalismo tra locali. Questo principio viene ora proposto nella sua estensione agli Enti locali di scala superiore.
È in atto nella Rete una relazione tra Province che definisce la figura della “Provincia dei Comuni” fondata su modalità di “copianificazione” coi Comuni, di potenziamento dei processi locali e di partecipazione diretta degli attori a politiche di scala maggiore. Lo stesso ruolo delle Regioni va reinterpretato come alternativo al ruolo loro assegnato dalla “devolution”. Per un ruolo di indirizzo, di produzione di scenari condivisi per al cooperazione sulle gradi poste in gioco. La Rete del Nuovo Municipio ha ora dato luogo in tal senso ad una Conferenza delle Regioni (7 Regioni coinvolte), e studia con la Regione Toscana un legge per la partecipazione in ambito regionale.
Questo induce una riflessione generale sulla stessa funzioni del governo nazionale e sulle collaborazioni tra aree territoriali nazionali e transnazionali.

5. Il progetto del municipalismo federato
Il federalismo municipale e solidale non è solo una proposta ed una pratica dei processi democratici e federali; è contestualmente progetto che sostanzia la partecipazione, progetti e politiche su fronti che nascono nei comuni e nelle reti locali sul welfare, sulla cittadinanza , sui servizi e innanzitutto sul territorio e sui beni pubblici.
“…Di fatto e sempre più programmaticamente:
- di fronte alla crisi finanziaria ed al disperato furto nel bilancio nazionale delle risorse locali, il welfare municipale regge le politiche sociali contando sulle proprie forze; e nelle azioni sociali nello spazio municipale si esprimono le controtendenze alla liquidazione della gestione pubblica dei servizi e per la valorizzazione e l’uso sociale di beni pubblici ad iniziare dall’acqua e dai rifiuti;
- di fronte alla crisi economica ed alla precarizzazione del lavoro si manifestano iniziative territoriali di altro sviluppo per la valorizzazione delle produzioni locali, per l’inclusione in nuovi processi produttivi, per una nuova agricoltura, per il trattamento autosostenibile dei cicli della stessa produzione industriale;
- di fronte all’imbarbarimento delle leggi sull’immigrazione ed alla deboli politiche statali del centro sinistra, sono gli enti locali ed i movimenti sociali ad assumere il carico dell’accoglienza e dell’offerta di cittadinanza, in particolare nella espressione del diritto di voto sperimentato e statuito localmente e attaccato dalle politiche del centro-destra; e nel tentativo, espresso anche in una rete di Regioni "democratiche", di mettere in discussione i lager dei Centri di permanenza temporanea;
- di fronte alla politica di guerra del governo ed alle mediazioni riformiste nazionali, nello spazio tra movimento e municipalità si praticano le iniziative per la pace e la cooperazione internazionale, i mille incroci intermunicipali con i Paesi del Sud. E per una economia non bellica, cioè non fondata sulla espropriazione e lo sfruttamento delle risorse mondiali ma sullo scambio equo delle diverse risorse territoriali…” (dal Documento di base dell’assemblea di Bari della Rete del Nuovo Municipio 2005).

Con questo impegno di partecipazione e di progetto

NO alla riforma costituzionale della destra
per un rilancio del federalismo solidale e dal basso

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