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da Il Manifesto del 24 Giugno 2006, p. 4

Un federalismo al contrario
di Vittorio Longhi (da una conversazione con Alberto Magnaghi)


Per la Rete del Nuovo Municipio, votare No al referendum sulla devolution non significa difendere il modello centralista dello stato, ma bocciare un progetto di federalismo fasullo, egoistico e secessionista, per poi riaprire il discorso su un federalismo autentico, che parta dal basso e che la Rete definisce «federalismo solidale municipale». La Rete, nata come associazione di movimenti territoriali e laboratori universitari, in pochi anni è arrivata a coordinare centinaia di comuni, decine di province e regioni che approvano, e in buona parte applicano, i principi della democrazia partecipativa. Alberto Magnaghi, docente di urbanistica all'università di Firenze e presidente dell'associazione, spiega al manifesto il significato del federalismo solidale municipale e non nasconde le perplessità sull'atteggiamento di gran parte della sinistra nei confronti del modello centralista e, in generale, dell'attuale modello di sviluppo.
«Abbiamo lanciato questo slogan proprio per mettere l'accento sul federalismo nato dal basso - dice Magnaghi - , che deve essere solidale e municipale, perché è soprattutto nel municipio che si può esprimere la sovranità popolare, la civitas che oggi si esprime nelle pratiche di democrazia partecipativa. È la condizione necessaria perché il municipio non sia un'appendice dello stato o delle regioni, ma una vera sede di autogoverno». Perciò un progetto in cui il comune diventi «il nucleo fondativo della sovranità», lungo un percorso che passa per l'unione di comuni, le regioni, lo stato, l'Europa, ma sempre seguendo il principio di sussidiarietà e costruendo relazioni non gerarchiche. Un rovesciamento radicale di poteri, in sostanza, che difficilmente i partiti, compresi quelli di sinistra, nonché il governo di centrosinistra sarebbero disposti ad accettare. «Nel centrosinistra sembra esserci un accordo complessivo sul No alla controriforma nei punti - aggiunge Magnaghi - che riguardano i superpoteri del primo ministro, la blindatura del vertice di governo, la perdita di prerogative del parlamento, la composizione e le funzioni del senato federale. Mentre sul punto della devolution non vedo una grande chiarezza di posizioni, forse a causa della forte tradizione statalista». La Rete invita invece le forze progressiste a riappropriarsi del concetto di federalismo e a riprendere il discorso sulla sovranità dal basso, che rimette in discussione l'intero modello di sviluppo attuale. Magnaghi vede infatti un legame profondo tra la devolution delle destre berlusconiane e il neoliberismo: «Le due cose sono complementari, sinergiche: lo stesso federalismo è dominato dalla concorrenza, in questo caso fra amministrazioni, se si elimina il welfare e si privatizzano i servizi sia a livello municipale si a livello regionale».
In questa spinta alla privatizzazione e mercificazione dei beni comuni l'ideologia populista della destra ha fatto la sua parte, seminando nel paese una sorta di «desolidarizzazione sociale». Su quello che ora il nuovo esecutivo potrà fare, però, Magnaghi è scettico: «Nel programma di governo del centrosinistra poco compare dei molti messaggi di critica, lanciati da più parti, al modello di sviluppo e alle politiche dell'ambiente, e delle spinte alla solidarietà e alla partecipazione che pure nella società agiscono». Il rischio, insomma, è che questo sia un governo di gestione dell'emergenza quotidiana dettata dalla politica economica e non riesca a operare delle scelte strategiche di inversione di rotta. «Il che sarebbe disastroso, perché a gestire l'economia capitalistica sono comunque più bravi i capitalisti, che hanno il gene egoista dell'impresa e non quello della solidarietà».
Dai comuni alle regioni, in ogni caso, il processo italiano di democrazia partecipativa va avanti. La Rete ha creato coordinamenti tra regioni - prima fra tutte la Toscana - che stanno lavorando a leggi mirate ad applicare i metodi della partecipazione in «forme ordinarie di governo». Sarebbe questo un modo sicuro per realizzare quell'idea alternativa di federalismo in cui la regione non è più semplice governatorato con poteri esrcitati dall'alto. Va anche detto, però, che in Italia la domanda di cittadinanza attiva resta di gran lunga superiore alla capacità di risposta delle amministrazioni locali. «C'è l'idea che la partecipazione disturbi i processi politici e renda più lente le decisioni - conclude Magnaghi -. Il problema è essenzialmente culturale, perché la mobilitazione sociale non è ancora considerata come una maturazione della cittadinanza attiva, capace di produrre progettualità, autogoverno e maggiore potere per l'amministrazione locale rispetto ai poteri forti».

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