A Bologna chi ha paura della partecipazione?
Claudio Gandolfi

Ho letto con molto interesse l'intervento di ieri sulle pagine dell'Unità di Giovanni De Rose.
Condivido il suo rammarico di uomo di sinistra che si è impegnato direttamente nell'assemblea cittadina per avere -questa- "perduto per strada la caratteristica più importante e cioè la voglia di rinnovare i modi della politica" e sottoscrivo il suo impegno a non voler "restare fermi" invitando associazioni, volontari e semplici cittadini ad una "sorta di stati generali dei poteri deboli" da convocarsi a maggio.
Credo che a questo punto della situazione, dopo mesi di silenzio di partiti ed amministratori, dopo tante promesse non mantenute e parole scritte e dette sulla partecipazione, l'autoconvocazione e l'autogestione siano l'unica strada praticabile per chi ha voglia di fare qualcosa di sinistra al di fuori dei canali politici tradizionali.
Trovo corretta ed efficace la definizione di questa espressione di volontà come quella dei "poteri deboli" alternativi - se non opposti - a quella dei "poteri forti" - politici, amministrativi ed economici - che sembrano tanto titubanti, diffidenti e timorosi a cedere parte della loro sovranità, insensibili ai segnali arrivati in questi mesi dall'arcipelago variegato di movimenti, associazioni, gruppi spontanei e singoli cittadini.

Come volontario ho lavorato per la coalizione in campagna elettorale e ora cerco di mettere in pratica il principio della "partecipazione attiva", concetto alla base del programma della nuova amministrazione, impegnandomi in prima persona sul territorio con gli strumenti che ho a disposizione.

E' questo il punto che più mi sta a cuore perché lo vivo direttamente sulla mia pelle: da parte dei "poteri forti" vi è infatti l'incapacità di cogliere - o peggio la volontà di non farlo - fino in fondo segnali ed esigenze nuove che giungono, appunto, da questo variegato mondo.
C'è bisogno di nuovi strumenti di partecipazione, meno legati agli schemi tradizionali del modo di fare politica dei partiti. I tanti movimenti e comitati spontanei nati in questi ultimi anni lo stanno a dimostrare.
La gente è stanca delle formule e dei bizantinismi della politica tradizionale, dei suoi compromessi, chiede chiarezza, rigore e coerenza.

Chiede molto semplicemente di essere ascoltata, di poter esprimere liberamente la propria opinione senza remore e filtri; chiede una partecipazione alle decisioni che deve essere reale, sostanziale, non assemblee dove come cittadini continuiamo ad essere chiamati per prendere semplicemente atto di decisioni già prese da altri in altre sedi. Il "qualunquismo" è un pericolo strisciante sempre pronto a colpire.

Nell'esperienza di Bologna delle scorse amministrative si è vinto non perché si è fatto una campagna contro qualcuno o qualcosa, bensì perché si è promossa un´azione politica a favore di un'idea di città diversa, migliore, partecipata.

La chiave di volta è stata la partecipazione ed il coinvolgimento diretto con entusiasmo e voglia di spendersi di tante persone che come me non si erano mai avvicinate prima attivamente alla politica, si è vinto perché si è fatto politica in strada, fuori dalle stanze dei bottoni, si è vinto perché la politica è scesa dall'altare della supponenza dove tutto sembra essere dovuto a prescindere, ed ha riscoperto - sembra purtroppo per poco - l´umiltà di ascoltare e stare tra la gente.

Al di la della discussione di queste ultime settimane sul destino dei volontari di Cofferati o della nuova forma da dare all'Assemblea Cittadina, penso sia da qui che si deve ripartire, riattivando quel canale di comunicazione diretto tra politici e società civile che negli ultimi mesi si è affievolito per "una sorta di estraneità tra l'operato della Giunta e il mondo esterno".

Se non si riattiva questo canale diretto finiremo per dare ragione a quelli che ci accusano come centro-sinistra di esserci solo riempiti la bocca di belle parole.

Se vogliamo proseguire positivamente il cammino senza disperdere quanto seminato in questi mesi non possiamo continuare a muoverci sulla difensiva - giustificando questo atteggiamento come conseguenza dei fardelli ereditati dalla giunta precedente o delle frequenti situazioni di emergenza da risolvere - abbiamo l'obbligo morale nei confronti degli impegni presi con i cittadini di volare più alto, di essere più ambiziosi, elaborando un progetto che politicamente sia chiaro, credibile, praticabile, condivisibile e soprattutto coerente con le Linee programmatiche approvate lo scorso settembre. Al di la dei problemi contingenti legati alle pesanti eredità ed alle difficoltà di bilancio dovute a scelte del governo centrale, c'è bisogno di una IDEA CHIARA DI FUTURO CON UNA IDENTITA' FORTE in cui potersi riconoscere e per la quale abbia un senso continuare a battersi e partecipare.

Fare bene la professione di cittadino è impegnativo, richiede risorse economiche e di tempo che non sempre si hanno a disposizione, la buona volontà da sola non basta e non può essere penalizzante per chi la esercita; spesso ci si scontra con una realtà oggettiva in cui tempi di lavoro e tempi di vita non si conciliano e diventa difficile mettere a frutto i pochi momenti liberi a disposizione che il cittadino vuole investire nell'impegno diretto per passare dalla protesta alla proposta.

Se è vero infatti che come cittadini dobbiamo riscoprire il piacere di lavorare per la cosa comune recuperando in primo luogo il senso di appartenenza, il senso civico, è altrettanto vero che le istituzioni devono mettere a disposizione strumenti e luoghi per la partecipazione attiva, contenitori fisici e virtuali con regole certe e chiare, opportunamente pensati per poter dialogare in tempo reale e scambiare materiali 24 ore su 24.

In attesa dei segnali di interesse effettivo, degli strumenti e delle regole da parte dei partiti e della giunta Cofferati, con l'aiuto degli urbanisti della Compagnia dei Celestini e di alcune associazioni culturali e comitati alcuni cittadini si sono già mossi in prima persona dando inizio a percorsi formativi di urbanistica partecipata allo scopo di fornire a ciascuno dei partecipanti elementi di conoscenza e consapevolezza per elaborare strumenti culturali e proposte progettuali in appoggio e a supporto delle elaborazioni dei tecnici e degli amministratori.
Questa esperienza, a cui ho partecipato, ed altre analoghe in gestazione possono rappresentare il primo passo ufficiale nella richiesta alle istituzioni di coinvolgimento attivo dei cittadini per arrivare a definire il nuovo percorso partecipativo alla cosa pubblica secondo metodi nuovi, regole certe e tecniche di partecipazione e co-decisione, così come chiaramente auspicato e promosso (.promesso) nelle linee di mandato della giunta di centro-sinistra.
In questo senso la proposta di Giovanni De Rose può aiutare ad uscire dallo stallo in cui ci siamo messi
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Claudio Gandolfi, aspirante cittadino