Nuovi Municipi

Newsletter bisettimanale della Rete del Nuovo Municipio

n. 211, 9 Dicembre 2011

www.nuovomunicipio.org

 

 

BUONE NOTIZIE

Strani e deprimenti, questi giorni prenatalizi in cui all'ordine del giorno, invece che la chiusura per ferie, c'è la chiusura per cessata attività - di Aziende, Scuole, Università, Enti locali e (in linea non più tanto prospettica) dello stesso Stato. In un simile stato di cose, anche questo foglio (che di recente insieme al sito web collegato ne ha passate di tutti i colori) ha deciso di uniformarsi ad una linea di stretta austerità: una sola notizia e un articolo programmatico tratto dalla stampa, senza perdersi in troppe chiacchiere che potrebbero distogliere i cittadini da sacrificio e abnegazione. Entrambe le cose, però, sono di quelle buone: l'articolo - lo trovate di seguito - è quello di Luigi De Magistris sul Manifesto di ieri l'altro, in cui il sindaco di Napoli propone la sua città come catalizzatore per la creazione di «una Rete di Comuni per i Beni comuni» che ha evidenti e marcatissime parentele con quella del Nuovo Municipio; la notizia rimanda alla diretta streaming di un incontro, in corso proprio in queste ore al teatro Puccini di Firenze, in cui i cittadini e la società civile (quella che non ha dimenticato il rapporto di questo abusato aggettivo col sostantivo "civiltà") si interrogano sui possibili futuri alternativi al suicidio di massa che l'abbraccio mortale di politica e "alta" finanza sta preparando loro. Sono due notizie esili, forse, che saranno presto sommerse dalla corrente tumultuosa di intricate quotazioni di borsa - con tanto di dato sullo spread - in cui la nostra informazione si è trasformata negli ultimi mesi; ma sono due notizie veramente buone, che vi passiamo nella speranza non tanto di rallegrarvi le feste di Natale, quanto di ricordarvi che c'è ancora qualcosa da fare. Da fare presto.

 

 

Oggi a Firenze cerchiamo La via d'uscita
Inutile negarlo, l'avvicendamento al governo del Paese (da cui seguitiamo a sperare tanto) non ha finora toccato nodi strutturali dei rapporti tra politica economia e società, lasciando sempre i soliti a pagare i conti della crisi. Se una via d'uscita esiste, va dunque cercata altrove: magari in relazioni orizzontali e solidali fra cittadini finalmente risvegliati.

 

 

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De Magistris: Una rete dei Comuni per i beni comuni


Propongo una data: il 28 gennaio. Propongo un luogo: Napoli. E soprattutto propongo un tema di confronto che abbia come protagonisti gli amministratori, i movimenti, le associazioni, le cittadine ed i cittadini: vediamoci e discutiamo insieme di come uscire dalla crisi economica ma anche da quella politica. Vediamoci e discutiamo insieme di come elaborare un’alternativa economica alla ricetta liberista imposta dall’Europa della Bce e della Commissione, che indica nel welfare e nei diritti il forziere da depredare per far cassa. Vediamoci e discutiamo insieme di come rapportarci alla nuova stagione vissuta dal paese: quella di un governo tecnico che nasce sulle ceneri della politica, consegnatasi mani e piedi alla “tecnocrazia”, cioè agli interessi dei cda della banche, dei mercati, delle istituzioni finanziarie, poiché incapace di fornire una risposta come pure dovrebbe. Vediamoci e discutiamo insieme di come lanciare, dunque, un’alternativa economica e politica che a mio avviso dovrebbe partire dalla difesa dei beni comuni (acqua, internet, saperi, ambiente): un tema che si è dimostrato capace di sintetizzare una nuova idea di politica ma anche di economia. A difesa dei beni comuni si sono infatti mobilitati 27 milioni di italiani, scrivendo una bella pagina di democrazia partecipativa dal basso, a testimonianza di come sia vivo nel paese il desiderio di politica, diretta e attiva. Il perno di questa difesa dovrebbero essere gli enti locali, primo livello della rappresentanza e del governo, primo bersaglio del piano economico che fino ad oggi ha visto la riduzione drastica dei trasferimenti nazionali, costringendoli – adesso e nel futuro – ad una soppressione dei servizi e dunque ad una sospensione dei diritti, minando dunque la stessa tenuta democratica. Penso alla costituzione di una “rete dei comuni per i beni comuni” da cui partire per formulare questa alternativa economia e politica.
Il quadro, nazionale e internazionale, rende a mio avviso importante questo appuntamento di confronto. Il governo Berlusconi è crollato sotto i colpi dei grandi poteri economico-finanziari internazionali, espressione di quel neoliberismo e di quella finanziarizzazione dell’economia che hanno portato alla crisi attuale. Berlusconi è caduto, inoltre, per volontà di quelle istituzioni europee, penso alla Bce, che sono figlie di un’Europa definita come entità monetaria ma non come comunità, quindi non ancora compiuta politicamente e non ancora capace di assicurare una vera partecipazione democratica. Il governo Berlusconi è caduto, inoltre, a causa del protagonismo di forze più propriamente nazionali: quei poteri forti – massonici, ecclesiastici e bancari – che per anni hanno sostenuto il “laboratorio Berlusconi” come garante dei propri interessi e che, registrata la sua impresentabilità internazionale, hanno scelto di liberarsene. Per far cosa? Per sponsorizzare un governo di tecnici che potrebbe condurre un’operazione di continuità politica ed economica sfruttando, appunto, i nomi “illustri” di noti accademici, di ex membri di Cda bancari, di elevati giuristi ed economisti. Resta invece ancora vivo il berlusconismo come involuzione (sub)culturale che, per un ventennio, ha deformato il tessuto sociale del paese attraverso un interrotto controllo mediatico garantito dal conflitto di interessi permanente.
Stiamo dunque assistendo alla fine della politica e alla genesi della tecnocrazia: la prima non determina i cambiamenti né li governa perchè a farlo è la seconda. La prima risulta, inoltre, profondamente indebolita in conseguenza dello scollamento con la società e l’elettorato, in crisi di rappresentanza anche a causa di una legge elettorale che ha prodotto un parlamento di nominati da segreterie e correnti, non certo dunque di eletti dal popolo. E quello che resta della politica è riassunto in una maggioranza che assembla formazioni tra loro disomogenee per ideali e per storia, marcatamente gestita al centro e potenzialmente eterodiretta dai poteri forti prima citati. Di fronte a questo quadro, appare necessario ritornare alla politica nel suo senso originario, ritornare dunque alla democrazia. Per superare il berlusconismo, che ancora infiltra come modello culturale la società, ma anche per superare quel governo Berlusconi che potrebbe rivivere, in particolare dal punto di vista economico-sociale, sotto le mentite spoglie, soltanto più presentabili, dell’esecutivo Monti.
Per evitare dunque l’imposizione di una ricetta economico-sociale fondata sui dettami della Bce e della Commissione europea, di una risposta liberista ad una crisi che nasce dal fallimento del liberismo, della reazione conservatrice. Il governo tecnico mi fa paura per le ragioni espresse, ma da amministratore mi corre l’obbligo di giudicarlo dalle misure che attuerà. L’esordio certo non dirada il mio timore, anzi lo conferma: non una parola critica verso i diktat della Bce e della Commissione oppure sullo sviluppo sostenibile, non una presa di distanza dalla manovra d’agosto, che con l’art 4. obbliga gli amministrazioni a cedere ai privati buona parte delle azioni delle municipalizzate, azione resa ancora più forte dalla legge di stabilita, la quale prevede il commissariamento di quei comuni disobbedienti. È la cancellazione dei beni comuni, legati ai diritti fondamentali, per consegnarli al mercato e alla privatizzazione; è la cancellazione del welfare, usato per fare cassa; è la spoliazione degli enti locali, su cui si scarica la crisi. Semplificando è la sospensione della democrazia, che in primo luogo scompare nei luoghi di lavoro, dunque sparisce anche nel paese. Fine del Ccln, licenziamento illimitato, esclusione di una “parte” della rappresentanza sindacale laddove non si conforma agli accordi imposti dall’azienda, ovviamente senza referendum: il “laboratorio Pomigliano” esportato ed imposto in tutto il mondo dell’occupazione.
In questo quadro la voce della politica è flebile, mentre tuona quella della finanza e del mercato di cui si fa portavoce la “tecnocrazia”, soffocando gli stati, i governi e i parlamenti. Soprattutto soffocando le cittadine e i cittadini. Vediamoci dunque e confrontiamoci.